Sul telecomando di casa i numeri che marcano le frequenze televisive non compaiono: ciò che si vede è la lista automatica che regola il traffico della nuova tv digitale. Ma, quando si entra nell’etere che sta abbandonando l’analogico, la cifra del canale conta eccome. Soprattutto se nove frequenze spariranno dal mondo televisivo dopo l’asta con cui il ministero dello Sviluppo economico le ha cedute lo scorso settembre alle compagnie telefoniche per quattro miliardi di euro. Sono i canali che vanno dal 61 al 69 e che la legge di Stabilità del 2010 ha tolto soltanto alle locali lasciando inalterata la "piazza" occupata dai network nazionali (anzi, allargandola con le sei frequenze da assegnare alle grandi reti con il controverso
beauty contest a costo zero). Canali che nelle dieci regioni digitalizzate prima dell’anno scorso erano già stati assegnati alle locali e che adesso le emittenti del territorio dovranno restituire entro la fine del 2012. Ma il ministero dello Sviluppo economico potrebbe a chiederne «la consegna già in questi mesi, prima che scatti l’ultima fase degli switch-off nel Mezzogiorno prevista a partire dal 7 maggio», ipotizza Marco Rossignoli, coordinatore dell’Aeranti-Corallo, l’associazione che rappresenta mille imprese radiotelevisive.Certo, è curioso che le frequenze siano finite alla banda larga mobile prima che in metà della Penisola fossero libere. «È stato come un esproprio, accompagnato da una serie di errori operativi», sottolinea Rossignoli. Su questi canali trasmettono – per citare qualche esempio –
Telelombardia e
Bergamo Tv in Lombardia,
Teleroma 56 e
Rete Oro in Lazio,
Telebenevento e
Irpinia Tv in Campania. In tutta Italia sono 145 le locali che li utilizzano con la nuova tecnologia.E che cosa accadrà quando li perderanno? In ciascuna regione ci sarà una ridistribuzione di tutte frequenze utilizzate dalle emittenti locali. «E probabilmente rivivremo i disagi che hanno segnato il passaggio al digitale», annuncia il coordinatore dell’associazione di categoria. Non è un caso che Rossignoli parli di un «secondo switch-off» in Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Sardegna. Di fatto nelle zone dove dal 2008 al 2010 si è passati alla tv con i bit sarà come tornare ai giorni della transizione. «Spariranno marchi e programmi dagli schermi, sarà necessario risintonizzare più volte i decoder, occorrerà mettere mano agli impianti di trasmissione», annuncia il coordinatore dell’Aeranti-Corallo.Non solo. L’iter avrà effetti diversi in base alla geografia televisiva. Nelle regioni in cui l’etere ha ancora spazi disponibili, sarà sufficiente riscozzare i canali per eliminare i nove che passeranno alla telefonia 4G. Invece nelle regioni dall’etere saturo potrebbe esserci una vera «telemattanza». Le tre aree a rischio sono proprio Lombardia, Lazio e Campania: a Milano e nelle province limitrofe (comprese quelle del Piemonte orientale) i canali da restituire sono occupati da trentasei multiplex; in Lazio si contano ventuno tv che le utilizzano; in Campania si arriva a quota trentuno. Però, ad oggi, non ci sono lunghezze d’onda ancora libere dove possano essere trasferiti i mux locali che oggi entrano nelle case di 21 milioni di italiani.La prospettiva è una «gara» fra le emittenti (con relativi bandi e graduatorie) per vedersi assegnare le frequenze. «Però – afferma Rossignoli – una parte non ce la farà a proseguire a trasmettere in proprio se non scambierà il panorama televisivo italiano».Il caos del «secondo switch-off» non interesserà né Liguria, Toscana, Umbria e Marche che hanno affrontato il passaggio al digitale questo autunno, né Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia che entreranno nella nuova era televisiva entro giugno. Infatti nell’elenco dei canali per le locali sono già stati esclusi i nove della telefonia mobile che in queste regioni non verranno impegnati.