Dalle Hawaii ai Giochi olimpici all’insegna dello shaka . I surfisti si salutano così: pollice e mignolo aperti, le restanti dita chiuse. Chissà se tra due anni e qualche mese il primo medagliato olimpico di questo sport riproporrà sul gradino più alto il gesto che ha unito una generazione di coraggiosi. Atleti che cavalcano le onde su una tavola, restando in piedi sulla parete d’acqua nonostante le manovre acrobatiche. Nel 2020 nella prefettura di Shiba sull’oceano Pacifico, a un’ora da Tokyo, venti uomini e altrettante donne - selezionati in base al ranking mondiale - si contenderanno le medaglie a cinque cerchi nello shortboard, il surf su onde naturali. Indosseranno la muta e ai piedi avranno una tavola tra 165 e 190 centimetri di lunghezza, un paio di chili di peso, anima in polistirolo o clarkfoam, laminata con tessuto di vetro e resine epossidiche e con alcuni rinforzi in carbonio. Non esiste un attrezzo standard, ogni surfista ha la tavola su misura, cui è vincolato da un bracciale di veltro attaccato alla caviglia, così da facilitarne il recupero dopo la caduta.
Si gareggia con la formula del tabellone a eliminazione diretta con batterie con 2 o 4 atleti, durante le quali la giuria esprime un giudizio su ciascuna onda cavalcata. Si valutano la scelta dell’onda, la tipologia della surfata, la velocità, lo stile, le manovre effettuate. I più spericolati propongono salti e rotazioni in aria. In 20 minuti si approcciano anche 7 o 8 onde, ma solo le migliori due portano punti. Tanta fatica, eppure il titolo olimpico si decide in meno di dieci secondi, lungo i quali l’imperativo è non cadere: se si finisce in acqua il punteggio è infatti nullo. La caccia all’oro è cominciata e gli effetti si vedono pure in Italia. «Grazie all’ingresso del surf ai Giochi il nostro movimento ha potuto strutturarsi in una federazione e creare i presupposti per un futuro solido e organizzato», racconta Mirco Babini, direttore sportivo della Nazionale azzurra. Con l’approdo nel panorama olimpico il surf è entrato infatti nell’orbita della Federazione italiana sci nautico e wakeboarding (Fisw). Lungo lo stivale si contano una cinquantina di società e 5mila tesserati, mentre i praticanti vengono stimati in 50mila. Articolato il calendario nazionale, con eventi suddivisi per specialità: shortboard, longboard, bodyboard. Le gare si svolgono ovunque, ma il cuore italiano della disciplina è la Sardegna, dove si creano condizioni buone per gareggiare.
«Se consideriamo il livello medio - spiega il direttore sportivo - siamo in rincorsa rispetto agli altri Paesi, perché siamo partiti in ritardo. Confido però nella preparazione dei nostri atleti e tecnici per scalare in fretta tanti livelli». L’italiano più forte sulle onde è il ventenne romano Leonardo Fioravanti, di stanza a Hossegor sulla costa atlantica francese, unico azzurro presente nel ranking mondiale. «Per la selezione olimpica - continua Babini - Leonardo rappresenta la nostra migliore carta. Alle sue spalle abbiamo anche altri giovani come Edoardo Papa, Mattia Migliorini e Giulio Caruso. Tra le ragazze la campionessa italiana è Emily Gussoni che vive in Costa Rica, un posto ottimo per allenarsi». Secondo Babini il principale problema è tenere unito il gruppo: «Il fatto che ogni atleta si alleni in un posto diverso non aiuta a ricreare lo spirito di squadra, ma in questa fase ci spostiamo da un luogo all’altro per scovare nuovi nomi e magari intravedere del talento in alcuni ragazzini». Prossima fermata in Giappone. Non sul bacino olimpico, ma sempre nei pressi della capitale nipponica, dove a settembre andrà in scena il primo Mondiale che porterà in dote punti preziosi in ottica ranking. È la tavola l’oggetto cult verso Tokyo 2020. Con le rotelle o con le pinnette a poppa l’importante è non cadere.
Zaino in spalla e tavola sotto braccio. È l’immagine tipica del pomeriggio di tanti studenti che completati i compiti vanno a caccia di spazi pubblici per divertirsi sullo skateboard. Scovato l’angolo giusto via alla fantasia, per disegnare nell’aria l’acrobazia desiderata. Emozioni e adrenalina per interpretare al meglio lo spirito giovane di uno sport che avrà il compito di svecchiare il panorama a cinque cerchi. Sì, perché ai prossimi Giochi olimpici di Tokyo 2020 sarà presente per la prima volta anche lo skateboard. Una disciplina che supera l’argine della mera pratica sportiva divenendo uno stile di vita e una sottocultura. Giovani che volano su una tavola spinta dalla rotelle. Non ci sono categorie d’età, perciò lo skate è una battaglia generazionale dove adolescenti e uomini maturi si sfidano nello stesso contesto.
Quattro saranno i titoli da assegnare in Giappone: due maschili, altrettanti femminili, nelle due specialità elette per entrare in società. Al grande ballo olimpico ci si presenterà col Park e lo Street. La prima disciplina consiste nel disegnare acrobazie sui bordi di piscine senz’acqua. Lo skater si tuffa nella vasca asciutta e utilizza le rampe per librarsi in volo. Parola d’ordine: flips, cioè gli stili di salto di volta in volta proposti. Per fare un paragone con una specialità già olimpica il Park assomiglia all’Halfpipe dello snowboard, con la differenza che la pista non ha la forma del mezzo tubo. Lo Street riproduce invece il classico contesto urbano con lo skater impegnato a destreggiarsi su ostacoli quali panchine, scalinate e corrimani. Qui la parola d’ordine è tricks, ossia le manovre proposte sulla tavola. Gli skater affollano i parchi e le viuzze delle città italiane da decenni, eppure a livello federale la disciplina è relativamente giovane. Solo nell’ottobre 2010 è stata costituita all’interno dell’attuale Federazione italiana sport rotellistici (Fisr) una commissione dedicata allo skateboarding.
Le società affiliate sono una sessantina e i tesserati non più di un centinaio, ma il fenomeno è in crescita. Se la stima del numero dei praticanti è complicata a spanne nel nostro Paese ci potrebbero essere 15mila skater - il volano olimpico sta dando i suoi frutti. Là dove ci sono gli impianti - Alto Adige, Lombardia e Emilia sono le zone messe meglio - i numeri si impennano, altrove, specie al Sud, il fenomeno è inesistente. Intanto da quest’anno sono state introdotte nel calendario federale delle prove di campionato regionale nei territori dove esiste un’adeguata impiantistica. «L’interesse crescente verso questa disciplina - racconta Sabatino Aracu, presidente della Fisr - si può riscontrare nell’aumentata richiesta di nuovi impianti soprattutto da parte delle amministrazioni locali che hanno compreso la potenzialità sportiva e sociale del- lo skateboarding». In altre parole costruire uno skate park oggi può tradursi in una medaglia olimpica domani.
«La forza di questo sport continua Aracu - sta nella passione travolgente che non necessità tanto di promozione e di sponsor quanto di strutture. A Tokyo 2020 contiamo di fare buona figura al pari dei campioni americani e brasiliani. Il talento non ci manca, ma per coltivarlo servono gli impianti». Ai piani alti della disciplina l’Italia si affida a due teenager. L’anno passato aiWorld Roller Games - che hanno riunito a Nanchino i 10 sport con le rotelle, compreso lo skateboard - Ivan Federico e Alessandro Mazzara si sono piazzati settimo e ottavo. Federico, diciottenne torinese, ha già conquistato diverse tappe della coppa del mondo di Park, mentre Mazzara, quattordicenne romano, è uno specialista del Vert. Già, oltre alle due discipline olimpiche nello skateboard esistono altri format, come la discesa e il salto. Da tenere d’occhio da qui a Tokyo anche Alessandro Casasanta, Jacopo Carozzi e la sedicenne bolognese Asia Lanzi, prima skater in rosa nel nostro Paese. Per il momento sono studenti che nel tempo libero si dilettano sulla tavola: prima i libri, poi lo skate. In futuro, chissà, potrebbero diventare professionisti e magari arruolarsi in corpi militari. A quel punto la divisa diventerà un obbligo, sebbene per volare sulla tavola il jeans sia davvero comodo.