«Vi amo tutti, non vi dimenticate di me». Così Massimo Troisi aveva salutato l’attore Philippe Noiret, il regista Michael Radford e la troupe al termine delle riprese de
Il postino nella sua amata Procida. Tutti ci scherzarono su pensando a una battuta. Ma due giorni dopo l’attore e regista napoletano spirò, nel sonno, a casa della sorella Anna Maria ad Ostia, dove andava spesso per riposarsi dalle fatiche del set. Accadde alle 15 di un sabato di 20 anni fa, il 4 giugno 1994. L’Italia rimase attonita. Moriva il menestrello che nei film diceva cose serie facendo ridere, un moderno Pulcinella che nella sua breve carriera aveva saputo concentrare l’umorismo poetico di Eduardo, la mimica facciale di Totò, la penna vivida di Raffaele Viviani e l’estro farsesco di Peppino De Filippo. Aveva solo 41 anni ma – prima le sue apparizioni televisive con La Smorfia, e poi gli squinternati personaggi inventati e recitati per il cinema in commedie amare di una comicità sempre lieve e melanconica – gli avevano dato una grande popolarità. La notizia della sua scomparsa gelò il pubblico (meno invece chi lo conosceva da vicino), il pensiero andò subito alla figura di Mario Ruoppolo, il postino di Neruda, che lo stesso Troisi, co-sceneggiatore del film, aveva voluto far morire stravolgendo il finale del romanzo
Ardiente paciencia del cileno Antonio Skàrmeta a cui la storia è ispirata. Un libro che Troisi portava sempre con sé ritenendolo, con il film, «una parte stessa della mia esistenza». E il destino ha voluto che questo fosse anche l’ultimo personaggio della sua vita, reso in un’interpretazione per la quale ottenne la nomination all’Oscar. Una sorta di testamento umano ed artistico. Il suo cuore era malato e, quel maledetto sabato, si fermò per sempre. E lui, forse, se l’aspettava (pativa una disfunzione cardiaca e viveva con un bypass). Massimo Troisi era nato a San Giorgio a Cremano, vicino Napoli, il 19 febbraio 1953. Aveva in tasca un diploma da geometra ma amava immensamente il teatro. Dopo le prime esperienze in piccole sale di provincia insieme con gli amici Enzo Decaro e Lello Arena con i quali fonderà nel 1970 il gruppo cabarettistico La Smorfia, il successo in tv e, scioltosi il sodalizio, il suo primo ciak, nel 1981, con
Ricomincio da tre. Un trionfo: costò 450 milioni di lire, incassò più di 14 miliardi. I critici, però, all’inizio, non lo accolsero con favore contestandone la «fissità delle immagini» e un uso pigro della macchina da presa. Troisi si giustificò con la sua solita filosofia ruspante: «Il film l’ho studiato teatralmente, ho usato schemi semplici, sono quelle cose che ti riescono così, come aggiustare la lavatrice o il televisore...». E questa divenne la sua cifra d’autore. Uno stile, essenziale e penetrante, che distinse tutti gli altri suoi film, da
Scusate il ritardo (1983) a
Le vie del Signore sono finite (1987), fino a
Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991). A tema, sempre, i moti dell’animo, l’amore, l’amicizia narrati con garbo, ironia e tenerezza. Ettore Scola lo chiamò per affiancare Mastroianni in due film: «Lo scelsi perché mi piaceva la sua profondità di pensiero – commentò il regista – pur avendo, i suoi personaggi, la forma leggera e della farsa». Per il ruolo del figlio-padre di Marcello in
Che ora è? (1989) Troisi vinse (ex-aequo col suo compagno di set) la Coppa Volpi alla Mostra del cinema di Venezia. Fuori dai suoi consueti registri cinematografici, più improntato alla farsa o, se si vuole, alle esilaranti gag del mitico duo Totò-Peppino, il travolgente
Non ci resta che piangere, girato e interpretato con l’amico Roberto Benigni. È una favola colorata in cui un bidello e un maestro si catapultano in pieno Rinascimento per impedire che Cristoforo Colombo scopra l’America... Battute micidiali, una risata dietro l’altra e, ancora una volta, incassi da record (15 miliardi di lire). Ma
Il postino resta il suo capolavoro, "recitato" con gli occhi scavati, la voce fioca e una magrezza da far spavento. Eppure, con lo stesso vigore di chi vuol scoprire a tutti i costi la verità del mondo. Un volo senz’ali. Una metafora, della poesia e della vita. Che in questi giorni verrà ricordata anche in tv: domani sera alle 21.10 su Raidue una puntata speciale di
Unici su Troisi, il 4 giugno alle 21.10 su Iris il film
Pensavo fosse amore invece era un calesse e la stessa sera su Raitre alle 23.10 il documentario
Massimo, il mio cinema secondo me.