Un momento di attività nel centro di aiuto allo studio “Portofranco” a Milano - archivio
Pubblichiamo ampi stralci della prefazione scritta dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, per il libro di Davide Perillo Fuochi accesi. I ragazzi di Portofranco, un’esperienza di educazione e integrazione, in libreria da lunedì (San Paolo, pagine 144, euro 14,00). L’autore racconta le storie di ragazzi e volontari che portano avanti un centro di aiuto allo studio, fondato a Milano nel 2000, per rispondere al problema della dispersione scolastica. Un’esperienza educativa gratuita rivolta a studenti delle superiori. Molti dei quali, un terzo circa, sono immigrati o italiani di seconda generazione. Giornalista e scrittore, Perillo si occupa principalmente di Terzo settore e sostenibililtà. Dopo aver lavorato per numerose testate nazionali, dal 2007 al 2020 è stato direttore di Tracce, rivista internazionale di Cl.
«Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore». Per parlare dell’esperienza di Portofranco mi piace partire da questa frase di San Giovanni Bosco che, a mio avviso, è una parafrasi perfetta della frase che troviamo scritta in caratteri cubitali all’ingresso dei locali dell’associazione: «I ragazzi non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere ». E solo il cuore, che accende la mente e la tiene viva, può accendere i cuori anziché riempirli, spesso in maniera disordinata. Maria Montessori diceva che «più dell’elettricità, che fa luce nelle tenebre, più delle onde eteree, che permettono alla nostra voce di attraversare lo spazio, più di qualunque energia che l’uomo abbia scoperto e sfruttato, conta l’amore: di tutte le cose esso è la più importante». E l’educazione è sempre un atto di amore che suscita amore e che non lo possiede, come il vero amore. Questo centro di aiuto allo studio che aiuta gratis almeno quattromila ragazzi in tutta Italia, con una cinquantina di sedi e un giro di ottocento volontari, è «una rete larga ma nascosta», scrive l’autore, fatta di «gesti così normali e quotidiani » che può passare inosservata, come la foresta che cresce senza fare rumore: «È raro che compaia sui giornali quando si parla dei giovani, della scuola, dell’'emergenza educativa'». Ma è lì e continua ad illuminare tante tenebre e preparare il futuro, specialmente ai tanti che, purtroppo, ancora oggi 'restano indietro'. Lo abbiamo visto nella pandemia: l’abbandono scolastico è aumentato e chi aveva difficoltà ne ha avute ancora di più. Le cose importanti nascono sempre da quello che appare un caso e che è soltanto «il travestimento assunto da un Dio che vuol passeggiare in incognito per le strade del mondo», diceva il Cardinale Biffi. Dio aiuta le cose grandi proprio con le piccole, Lui che è il più grande e che si fa piccolo. Spesso le persone pensano il contrario e disprezzano gli inizi umili, cercando le prove immediate, stancandosi, arrendendosi alle prime difficoltà. Qui, come vedremo più avanti, tutto è nato nel novembre 2000 grazie a una cena tra amici: «A capotavola, don Giorgio, prete sanguigno, figlio – più che allievo – di don Giussani e a sua volta educatore tenace di centinaia di ragazzi, da responsabile di Gioventù Studentesca e da rettore dell’Istituto Sacro Cuore di Milano. Intorno, un gruppetto di insegnanti. Discussione calda, appassionata. E il sacerdote ha un’intuizione che lui stesso, poi, racconterà così: 'Se dobbiamo aiutare i ragazzi, qual è il punto in cui fanno più fatica, il bisogno che esprimono di più? La scuola. Bene, cominciamo da lì'». Educare, insegnare, far crescere è solo una questione intellettiva e di apprendimento o è un’esperienza che coinvolge l’aspetto relazionale, affettivo, emozionale, amicale? C’è spazio per il cuore nell’esperienza educativa? Direi che Portofranco ci aiuta a dare una risposta chiara, perché ci mette di fronte ad una realtà che, all’apparenza, si presenta come un grande e strutturato 'doposcuola' mentre, di fatto, si caratterizza per essere una vera e propria scuola di vita e di relazione, in cui 'insegnanti' e 'alunni' condividono non solo le nozioni e le conoscenze, ma un tratto della propria vita. Non è, in realtà, sempre così l’educazione? Quando non c’è condivisione o relazione, a cosa si riduce? Non a caso Portofranco, anche nella sua stessa denominazione, è un luogo libero. L’educazione rende liberi ed è frutto di tanta e vera libertà, così diversa dal vivere slegati. L’intuizione di don Giorgio Pontiggia non fu quella di dar vita ad una seconda scuola, ma ad un’esperienza in cui l’'insegnante', spesso un professore in carica o in pensione o uno studente universitario, si relaziona uno ad uno con l’'alunno', in un rapporto che diventa una condivisione di vita, un legame profondo, un aiuto reciproco. È la comunicazione che non salta ambiguamente i ruoli, non li confonde, ma li rende comunicanti, pieni; tanto che chi insegna si accorge che sta imparando, e chi deve imparare diventa lui stesso un insegnante. È un libro di storie, di persone, di fatti, di creatività originale, che ci parlano di incontri, di fatiche, di diffidenze, di gioie, di soddisfazioni, di riconciliazione, di fuoco e di passione. Storie vere, che ci aiutano a leggere i nomi, i volti, le provenienze, senza nessun pregiudizio, ed a capire e valorizzare la ricchezza nascosta in ognuno. Sono storie all’apparenza semplici, mai banali, anzi che ci aiutano a vedere le tante presenze dello Spirito di Dio nella vita ordinaria delle persone. Storie sussurrate e non enfatizzate; storie a volte tragiche, ma a lieto fine. Storie dove tutti sono uguali e tutti originali. In questo senso Portofranco realizza quello che papa Francesco indica con la sua enciclica Fratelli tutti, grande sogno che prepara il futuro per la nostra casa comune. (...) Portofranco è un luogo in cui i ragazzi vengono accolti come persone, in cui si intraprende la lotta alla dispersione che, spesso, significa disoccupazione, in cui si impara a vivere l’impegno scolastico come un’occasione di crescita umana, attraverso una forte esperienza di condivisione e di integrazione sociale. Portofranco è un faro, come si vede nel logo dell’associazione, che traccia la via e dà sicurezza a chi è perso e non sa che direzione prendere; che illumina l’oscurità che, a volte, avvolge chi ha perso fiducia nelle sue capacità; che rimane stabile e fermo, sempre presente ed accogliente verso chi chiede aiuto. I ragazzi di Barbiana affermavano di aver bisogno di insegnanti che fossero capaci di amare: insegnanti che possano «appassionarsi alla scuola, amare i ragazzi e essere amati. E soprattutto aver la gioia d’una scuola che riesce». Era la passione di un educatore come don Milani, che diceva di sé: «Non vivo che per farli crescere, per farli aprire, per farli sbocciare, per farli fruttare». I ragazzi dicevano di lui che «voleva che noi si capisse: 'Tu vali! Tu sei importante!'». È la stessa preoccupazione che si vede qui, in azione. «Continuate così», conclude la sua lettera un ragazzo, dopo aver parlato della realtà di Portofranco. «Continuate così», è anche il mio augurio.