Totò Cascio oggi 42enne - .
«Ci sono stati non giorni, ma anni in cui le mie ore trascorrevano nell’attesa della notte. Non vedevo l’ora di chiudere i conti con la veglia, desideravo che il giorno terminasse per poter dormire e sognare. Perché quando sognavo, vedevo, vedevo bene... ». Non è un passo di Cecità di José Saramago, ma l’autobiografia dolceamara e piena di speranza, del 42enne Totò Cascio, La gloria e la prova. Il mio Nuovo Cinema Paradiso (scritto con Giorgio De Martino: Baldini + Castoldi. Pagine 119. Euro 16,00). Si è proprio lui: è tornato il fratellino d’Italia che tutti avremmo voluto. Il baby prodigio del cinema fine anni ’80, uno dei nostri volti più popolari nel mondo, grazie al film del premio Oscar Giuseppe Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso... Appena finito di leggere il suo libro lo contatto: «Pronto Totò?» e dall’altra parte, la voce del giovane uomo che con inflessione palermitana ribatte: «Ti posso richiamare fra cinque minuti?». Riattacco, e in quel breve scambio per un istante ho riascoltato il sonoro amicale di Totò bambino, quando con in mano i pezzi di pellicola dei film censurati chiede al suo amico proiezionista, Alfredo (Philippe Noiret): «Me le posso prendere Alfrèdo? Allora... me le posso prendere?». Prendiamoci quel tenero ricordo e riavvolgiamo il nastro della memoria ai giorni in cui Totò era un alunno di quarta elementare, scovato dalla produzione di Franco Cristaldi, anzi «stanato», nella scuola del suo paese, Palazzo Adriano, dove il film venne girato. Ero un bambino che non pensava certo di fare il cinema. E invece, nel giro di pochi giorni la mia vita venne letteralmente stravolta. Due date l’hanno cambiata per sempre: l’8 maggio del 1988, il primo ciak sul set di Nuovo Cinema Paradisoe il 26 marzo 1990, giorno dell’annuncio del premio Oscar come miglior film straniero assegnato a Peppuccio Tornatore.
La luce della gloria avvolse anche il piccolo Totò, che però, lentamente poi è passato dal “cineparadiso” all’inferno, con sparizione fulminea da tutti gli schermi.
Ma non è stato il cinema a dimenticarsi di me, sono stato io che, non volendo accettare la mia disabilità visiva, ho cominciato a nascondermi. Colpa della malattia... L’estate del 2015 una sera torno a casa dopo il lavoro nel supermercato di famiglia e provo a inserire la chiave nella serratura, quando comincio a tremare... Pensavo di morire. Iniziano i controlli clinici e la diagnosi è implacabile: retinite pigmentosa con edema maculare.
Una malattia genetica che ha colpito anche suo fratello maggiore.
Ma Carmelo aveva capito molto prima di me il senso della vita, che non è semplicemente nel nascere e morire. In mezzo c’è la bellezza di tutto ciò che Dio ci ha donato... Mio fratello si è sposato e mi ha reso zio per due volte. E allora, piano piano anch’io ho ritrovato la forza per ri- prendere la strada interrotta...
La «rinascita» passa dalla Bologna di Pupi Avati, con il quale nel 2001 girò il suo ultimo film: Festival.
Sono stato un anno a Bologna, nel 2018, all’Istituto Francesco Cavazza. Arrivai sotto falsa identità, mi facevo chiamare Salvo: nome che detesto, sono stato battezzato Salvatore. Al Cavazza ho trovato la leggerezza illuminata di “Bernie”, l’insegnante Leonardo Zanardi, amico di Andrea Bocelli. Ho conosciuto ragazzi straordinari e dalle loro storie ho appreso due lezioni fondamentali: che l’autonomia di un non vedente è sempre lì a portata di mano, basta saperla cogliere, e poi, che ciò che non puoi cambiare lo devi accettare.
Totò Cascio nel film premio Oscar di Giuseppe Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso” - .
La terza lezione fondamentale glie l’ha impartita Andrea Bocelli, che ha scritto la postfazione de La gloria e la prova.
Quando ci hanno messo in contatto gli ho telefonato. Andrea mi ha ascoltato dieci minuti in silenzio e poi ha detto: «Essere un non vedente, non è un disonore». Ho avvertito la sensazione forte di due ceffoni in pieno viso, ma di quelli sani, che ti invitano a svegliarti e a scacciare via tutte le paure per ricominciare a vivere...
Quali erano i fantasmi che legavano mani e piedi al “vecchio” Totò?
Il timore di deludere me stesso e la gente che non vedeva più quel bambino talentuoso di un tempo. Mi portavo dietro i fantasmi dell’invidia, quella dei compagni di classe, perché ai loro occhi ero diventato ricco e famoso, e non lo trovavano giusto. Quando mi sono nascosto, ho provato il peso dell’indifferenza che è ancora più dolorosa e insostenibile della compassione. E quella si è presentata puntuale appena hanno saputo della malattia, e allora giù con i «poverino, non ci vede più...». Ho pianto tanto, ma ormai è acqua passata.
Dopo i controlli medici del 2018 nel libro confessa: «Quel poco di luce che Dio mi ha concesso potrò conservarla». È un grande atto di fede...
Già, il senso di tutto l’ho trovato nella pienezza della fede. Non c’è una sera che alle ore 20, ovunque mi trovi, non reciti il Santo Rosario di Radio Maria o in alternativa, quello delle 18 di TV2000. Pregare, per me vuol dire «ringraziare», provare «gratitudine» per Dio che mi ha dato la gloria e poi mi ha dato la prova: ad accettare la prima siamo tutti bravi, ma è nella prova che l’uomo si misura davvero. San Paolo insegna: «Siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera», e io questo faccio, ogni santo giorno. E sempre con il sorriso.
Nel libro scrive anche: «Per tanti anni mi sono lamentato di ciò che non potevo più avere, anziché gustare e apprezzare ciò che ho».
Ero cieco prima di diventarlo e non lo sapevo. Non mi rendevo conto che avevo avuto tutto: fama, privilegi, una famiglia straordinaria e anche delle belle amicizie, alle quali adesso se ne sono aggiunte delle nuove, come quella con Bocelli o Leonardo Pieraccioni con il quale ho appena festeggiato il suo compleanno. Sto ritrovando i vecchi amici... Peppuccio Tornatore quando mi ha risentito al telefono per la prefazione del libro è stato felicissimo di apprendere della mia “ripartenza”. Ho imparato a sognare da sveglio e così rivedo tante persone care.
Ha sognato anche Alfredo?
Certo, spesso. Ho il rimpianto di quella volta che Raffaella Carrà ai Telegatti organizzò una carrambata per farmi riabbracciare Philippe Noiret. Ci andai controvoglia, non ero ancora pronto a parlare in pubblico della malattia, e anche con Philippe fui reticente. Noiret era un uomo e un attore straordinario – sorride – un francese che recitava in siciliano, incredibile... Mi sono sentito telefonicamente con il Totò giovane di Nuovo Cinema Paradiso, Marco Leonardi, sono felice per la bella carriera d’attore che sta facendo.
E il Totò adulto, Jacques Perrin, l’ha più incontrato?
Ancora no, ma ho saputo che un giorno mentre era in vacanza in Sicilia, ha lasciato la famiglia a Palermo ed è venuto in incognita a Palazzo Adriano. Voleva visitare il Museo dedicato a Nuovo Cinema Paradiso. Me lo sono immaginato da solo, commosso, come quando riguardava gli spezzoni dei baci censurati che gli aveva regalato Alfredo... Quel Museo, prima del Covid, venivano a visitarlo anche dal Giappone. E lì, ancora si ricordano di Totò Cascio, per via del film certo – c’era un canale che lo mandava a rullo dieci volte alla settimana – , ma anche per un paio di miei spot pubblicitari: le gigantografie con la mia faccia erano affisse ai grattacieli di mezza Tokyo.
Una popolarità che nel ’90 toccò l’apice con lo slogan “l’Italia dei tre Totò”: Schillaci, Cotugno e Cascio.
Ho conosciuto il mondo in quel periodo e lavorato con dei giganti come Mastroianni, Celentano, Ranieri... Incontrai anche Silvio Berlusconi che vedendo i miei occhiali spessi forse aveva intuito il problema e mi disse: «Totò, ci hai fatto piangere tutti con Nuovo Cinema Paradiso, sappi che per te la porta di casa mia sarà sempre aperta, e se non ci sarò io, ci saranno i miei figli». Quella popolarità in parte è rimasta e oggi la uso per mettermi al servizio degli altri.
Un impegno preso a partire dal docufilm di Mauro Mancini, Con gli occhi aperti, prodotto da Telethon e Rai Cinema..
Dopo la messa in onda, l’anno scorso, ricevo quotidianamente decine di mail. Una signora mi scrive: «Non è il buio dei miei occhi ma il buio della mia anima a farmi stare male », allora io gli ricordo la mia storia e la conforto. Ieri mi ha telefonato una mamma che ha un figlio di 18 anni, sordo e con la retinite, e alla fine mi fa: «Totò, me lo faresti un regalo? Puoi fare una videochiamata di incoraggiamento a mio figlio...». L’ho chiamato subito. Per quello che posso, voglio spendermi il più possibile per chi soffre e ha bisogno del mio aiuto.
E il cinema può aiutare Totò a tornare sul set e a rimettersi in gioco?
Ho ritrovato la serenità e la consapevolezza che so cosa posso fare della mia vita e del mio futuro, tutto il resto è nelle mani di Dio. Adesso ho capito il significato di quella frase di Alfredo quando mi diceva: «Qualunque cosa tu farai, amala come amavi la cabina del Nuovo Cinema Paradiso...» – sorride – . La mia rinascita, si chiama “Nuovo Cinema Paradiso 2.0”.