Mistica, un termine oggi molto ricorrente in qualsiasi produzione culturale, a partire da quella alta, che si esprime in ricerche e pubblicazioni volte a indagare percorsi di approfondimento di temi caratteristici della religiosità, di testi riconosciuti come fondativi nella storia della mistica cristiana maschile e femminile, di fenomeni di estasi, visioni e rapimenti, che in generale attraversano molte tradizioni religiose, oltre che pratiche filosofiche, letterarie, psicologiche. Si tratta di interrogarsi sulla possibilità di trovare una fondazione rigorosa dell’esperienza mistica, un suo specifico statuto concettuale e un linguaggio criticamente omologato.Gli orientamenti in proposito restano ancora oggi diversificati, con autori che ritengono di riconoscere la solidità epistemologica della mistica, facendo ricorso alla fenomenologia che consente di evidenziare la natura intenzionale, cosciente e libera, dell’esperienza mistica, e con altri autori che invece ritengono prevalentemente soggettivo il linguaggio usato dai mistici per narrare le loro esperienze. A questo fine, è molto importante una premessa chiarificatrice: qui si intende sviluppare un discorso collocandosi all’interno della mistica ebraico- cristiana, la quale differisce da tutte le altre linee di mistica presenti in altre tradizioni religiose, occidentali e orientali, come pure differisce dalle plurime e diversificate correnti della mistica olistica, filosofica, teosofica, erotica. L’esperienza mistica sviluppata all’interno della tradizione ebraico-cristiana è un essere presi da Altro, quindi è fare esperienza di una passività che conduce all’unione con l’Altro, il quale prende l’iniziativa. Tale passività non significa tuttavia l’annullamento del soggetto. La mistica non è mai il semplice frutto di una tecnica o di una preparazione ascetica da parte dell’uomo, e non si esprime soltanto nel sentire, ma ha al suo centro la parola di Dio rivelata. L’iniziativa assolutamente non anticipabile e libera di Dio consiste nel fatto che Dio si rivela e l’unione con lui è collocabile solo in una relazione cui si accede affidandosi alla sua parola rivelata. Se questo è già presente nell’Antico Testamento, lo è in misura maggiore nel Nuovo, dove – secondo Giovanni – la Parola si fa carne: l’iniziativa di Dio è l’evento storico della sua autocomunicazione in Gesù Cristo. Su queste basi la mistica cristiana, quindi, non è la semplice intuizione di una realtà divina di cui tutti facciamo parte, ma è l’accoglienza interpretante del senso della vita e della morte di Gesù.Da qui nasce il sentire di essere stati presi dall’iniziativa di Dio e il senso di fiducia attestativa della sua verità, che entra nell’esistenza, nella carne, nel respiro. Non c’è unione senza relazione, e non c’è relazione senza il darsi di Dio come parola, come storia. In linea generale, sono due le modalità di mistica nella fede cristiana, egualmente presenti nella storia del cristianesimo: la mistica autentica in senso proprio, che potremmo chiamare mistica unitiva, in cui Dio si comunica in modo sperimentale diretto nella forma dell’estasi, e l’uomo lo conosce senza mediazioni concettuali e ne fruisce amorosamente; e una mistica da intendere in un senso più lato, una mistica affettiva, come contemplazione frutto di orazione, in cui Dio non si dona direttamente e l’uomo non «vede», ma «crede» la deità come tale e di ciò esulta e cresce in lui il desiderio di vedere Dio. Siamo sempre all’interno di un cammino che presuppone la fede: ogni altra mistica, che si concentri su elementi puramente emozionali e funzionali, resta fuori dalla vera mistica, risultando piuttosto una ricerca dello straordinario come securizzazione della tragicità della vita. Anche una mistica strettamente filosofica, pur essendo portatrice di un autentico desiderio di vedere Dio, risulta inefficace per il raggiungimento pieno dell’obiettivo, perché nessuna ascesi intellettuale può produrre la visione di Dio. Alla ricerca di un «fondamento» forte dell’esperienza mistica cristianamente intesa, l’aiuto maggiore viene dalla corrente filosofica della fenomenologia, al cui interno è risultata esemplare la ricerca di Edith Stein, allieva di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Alla fenomenologia infatti si deve la possibilità di accreditare sul piano filosofico l’esperienza mistica, dal momento che l’apertura trascendentale della coscienza dà spazio all’intenzionalità della stessa, che riconosce l’Altro, colui che assume l’iniziativa dell’unione, e risponde all’appello dell’Altro: occorre che l’unione sia intenzionale e reciproca. Ma è possibile anche la proposta di una fondazione antropologica della mistica, volta a presentare all’uomo contemporaneo l’esperienza mistica come normale nella sua eccezionalità: normale, perché è possibile per ogni uomo che dalla religiosità naturale transiti per grazia alla vita di fede; eccezionale perché, sebbene per il fedele il fine di diritto sia la visione beatifica di Dio, l’esperienza mistica è doppiamente dono gratuito che si aggiunge al dono della fede.Un percorso che ben converge con la fondazione teologica e cristologica della mistica. Il richiamo alle tradizioni forti della mistica del passato (Meister Eckhart, la Theologia deutsch, san Giovanni della Croce), così come la riflessione sui complessi e variegati linguaggi della mistica nella modernità e nella filosofia contemporanea (Heidegger e Wittgenstein), può consentire una vasta messe di confronti critici e avvincenti analisi circa un territorio da sempre coinvolgente per il cristiano, in cui il sapienziale si coniuga con l’esperienziale, e in cui soprattutto accade di fare esperienza della immensa gioia che dà l’essere presi da un Altro perché l’Altro prende l’iniziativa.