Il cuore è leggero, ma batte forte. È quello di Sara, confuso nei rumori che circondano il suo lavoro quotidiano: il vento, il tuono, l’acqua, le diverse voci della natura, i belati delle capre che accudisce e munge, i muggiti dei bovini con i quali si cimentano i suoi coetanei, a cavalcare i tori come prova di mascolinità, prima di raggiungere il tempo del lavoro duro e le responsabilità della famiglia. Nel Texas profondo la vita rurale segue i ritmi del sole, della luce e dell’oscurità, del cibo e delle nascite, della malattia e delle preghiere. La Bibbia per la famiglia di Sara (15 anni e dieci fratelli) non è una lettura qualunque, un volume anonimo sullo scaffale, un’antologia di storie o belle citazioni: la Bibbia è il libro della vita, il manuale dell’esistenza. Roberto Minervini (marchigiano, da quattordici anni negli Stati Uniti) dirige il terzo capitolo della sua trilogia texana,
Stop the pounding heart, che si è anche aggiudicato il Premio David di Donatello come miglior documentario, facendone qualcosa di più del ritratto di una comunità o dell’inquietudine di una adolescente, il cui cuore comincia a battere per Colby, allenatore di tori e cowboy da rodeo. È il sensibile specchio di una particella di società americana imbevuta di tradizioni e contraddizioni: gli insegnamenti religiosi e la passione per le armi, il senso del dovere familiare e la quasi autarchia sociale, modi e stili di vita lontani da quelli del nostro Occidente. Per questo il film – rispettoso di ogni singola identità – diventa un saggio di antropologia religiosa che si sfoglia nei silenzi, negli sguardi e nei bellissimi dialoghi. L’Acec lo distribuisce alle Sale della Comunità e lo offre alle parrocchie per stimolare un dibattito coerente con il suo impegno di aiuto alla catechesi attraverso il cinema.«All’inizio desideravo fare un film su come cresce un uomo qui nel Texas del sud – racconta Minervini –, come viene educato per diventare forte nel corpo e nella mente. Per questo mi ero concentrato su uno dei fratellini di Sara. Ma l’attrazione intellettuale con Sara è stata irresistibile. Ho sentito quanto le mie esperienze giovanili fossero importanti e decisive e mi spingessero a esplorare l’indole maschile e femminile in una società così diversa». I due ragazzi sono distanti nelle loro esperienze, anche se vicini sul terreno che ogni mattina calpestano. «Ma per entrambi – precisa il regista – è importante il concetto della retta via nella vita: Colby lo dimostra nel suo portamento, nel rigore della sua posizione eretta sul toro; Sara ascoltando e cercando di mettere in pratica i precetti biblici che le vengono impartiti dalla madre, chiamata poi a fare delle scelte che condizioneranno la sua vita e il suo rapporto con Dio. Entrambi sono sullo stesso piano: due persone inesperte, innocenti e fondamentalmente buone che vivono con rigore il loro atto di fede per sanare la grande paura dell’ignoto». «Quello di Minervini – precisa il gesuita Guido Bertagna – è quasi un modo sacerdotale di fare cinema, perché il suo film è un ascolto profondo delle situazioni e delle persone, come fa ogni buon sacerdote. È il contrasto tra Colby, uomo tutto di un pezzo, fortemente caratterizzato da una visione istintivamente "semplificata" della vita, e Sara, che entra in scena accarezzando le capre, con un’interiorità che la rende capace di riflettere profondamente sulle persone e la vita che la attende».«Tutti i personaggi si sono aperti davanti alla macchina da presa – conclude Minervini –. Così vediamo la famiglia di Sara quando mangia, prega, lavora, gioca, legge la Bibbia. Ma il primo che si è messo a nudo sono stato io dinanzi a loro, perché ho visto sì l’occasione di poter girare un film, ma soprattutto quella di vivere un momento importante, che sentivo farmi del bene».