Tutti incollati alla tv (tradizionale). La Penisola batte il resto d’Europa per il “consumo” televisivo.
Ciascun italiano trascorre almeno quattro ore e 20 minuti al giorno davanti al piccolo schermo. Non accade in nessun altro Paese del continente che la “teledipendenza” raggiunga vette così alte. Ma non è certo la tv via internet, quella da vedere in
streaming sul televisore di casa, sul computer o sul cellulare, a collocare il Belpaese al primo posto in Europa.
Dalle Alpi alla Sicilia la tv online è ancora un’esperienza di nicchia: appena 16 minuti al giorno sono dedicati all’on demand. E l’Italia finisce per essere una cenerentola quando si fa riferimento alle nuove frontiere del video.A stilare la classifica delle diete televisive nazionali è la società di ricerca angloamericana “Ihs Tecnology” che ha il suo quartier generale negli Stati Uniti e che, forte di ottomila ricercatori, ha analizzato con il suo braccio operativo
Tv media intelligence service il mercato televisivo in settanta Paesi del mondo durante l’ultimo anno. La tendenza che emerge è un passaggio sempre più repentino dalla tv tradizionale a quella via web. Ma non in Italia. Qui la “vecchia” televisione che arriva nelle case con l’antenna resta l’autentica dominante. Il tempo che le nostre famiglie le riservano è cresciuto dal 2008 al 2014 di quattro minuti e quarantadue secondi. Poco, si potrebbe dire. In realtà è la prova di un orientamento che non ha equivalenti in altri Paesi: l’incessante richiamo che i canali del digitale terrestre continuano ad avere.
Sostiene il direttore del settore media e contenuti di “Ihs Technology”, Dan Cryan, che «in Italia la crescita costante soprattutto della visione di tv lineare può essere attribuita al difficile momento economico della Penisola, con un alto tasso di disoccupazione. Ciò può spiegare l’aumento del tempo medio trascorso ogni giorno davanti alla tv». E aggiunge che stenta a decollare l’approccio online. «Nonostante gli investimenti non si assiste allo stesso genere di interesse e agli stessi numeri che si registrano in questo campo negli altri Paesi europei». L’assunto secondo cui si guarda più tv quando la società sta peggio può essere un criterio di lettura. Ma non basta a riassumere il caso italiano.
L’invecchiamento della popolazione è un fattore da tenere a mente quando si esamina la platea televisiva del Paese. Poi occorre avere ben presente la storia: il duopolio Rai-Mediaset, che ancora detta le regole del mercato e i gusti degli italiani, è sostenuto da scelte politiche che non hanno favorito né l’avvento del satellite (arrivato soltanto di recente in maniera più incisiva grazie a Sky), né della tv via cavo (inesistente nella Penisola). Tutto ciò ha fossilizzato anche lo spettatore. E chi oggi annuncia che la televisione generalista è morta o scomparirà a breve viene smentito dalle strategie dei maggiori gruppi televisivi che vanno in onda in Italia. Basta guardare a quanto sta accadendo negli ultimi mesi con la scelta di alcuni “big” di puntare sui canali in chiaro e per tutti, racimolando spazi sul digitale terreste e riversandoci sopra significativi investimenti: così la pay-tv satellitare Sky, che già ha il marchio generalista Cielo in chiaro, ha comprato Mtv per essere al numero 8 del telecomando e il gruppo Discovery ha acquisito Deejay Tv al numero 9 che ha appena trasmesso la finale “tutta italiana” degli Us Open di tennis. Come a dire: per conquistare il pubblico italiano serve seguire la “tradizione”. Lo dimostra anche il fatto che
fra le famiglie della Penisola la tv in streaming viene contemplata soltanto in minima parte. A penalizzarla è anche la lentezza delle connessioni internet nel Paese. Il video via web ha bisogno prima di tutto di una rete efficiente che lo faccia giungere nei salotti con una buona qualità e senza «strappi». E l’Italia è in coda alle classifiche tecnologiche internazionali. Sono appena 14 milioni le abitazioni che possono beneficiare della banda larga. E per lo più sono concentrate nei grandi centri urbani. Inoltre occorre considerare anche l’idea (molto italiana) che i contenuti web devono essere di per sé gratuiti.
Ecco perché si fa fatica a vedere dietro l’angolo una «rivoluzione televisiva» targata Netflix, dal nome del colosso americano della tv via internet che sta per sbarcare in Italia, che conta nel mondo 65 milioni di abbonati e che offrirà a meno di dieci euro al mese film, serie e documentari (ma non notiziari, sport e programmi d’informazione) secondo la logica del “vedo ciò che voglio, a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo”. Il confronto con le platee televisive degli altri Paesi aiuta a capire meglio l’anomalia italiana.
In Gran Bretagna – riferisce l’indagine di “Ihs” – il tempo destinato alla tv tradizionale è ormai ai minimi storici: tre ore al giorno nel 2014, con un calo di 14 minuti rispetto all’anno precedente. «Il Regno Unito è stato pioniere nei servizi online anche da parte di grandi emittenti come Bbc e Channel 4 – afferma Cryan –. Oggi a questo percorso si uniscono iniziative di marketing da parte di Sky e la presenza di piattaforme come Netflix o Amazon Prime». Alla tv che giunge dalla Rete un inglese dedica 67 minuti al giorno, il dato più elevato in Europa.
Anche in Francia la web tv si sta imponendo a scapito di quella generalista che perde 10 minuti di visione giornaliera. Oltralpe l’orologio televisivo si assesta sulle tre ore e 36 minuti al giorno. «Il ricorso ai servizi online è in espansione», fa sapere Cryan. Il tempo per la tv in Rete si amplia del 17% e i maggiori incrementi riguardano le pay-tv
on demand il cui impatto sul pubblico è cresciuto del 20% negli ultimi dodici mesi.
In Germania si guarda la televisione per tre ore e mezzo al giorno. A dettare i comportamenti sono le pay-tv che hanno visto lievitare in un anno gli abbonati di 700mila utenti e la televisione via cavo che, per gli analisti angoamericani, frena lo sviluppo delle piattaforme
streaming. «I consumatori tedeschi – sottolinea il responsabile del settore media – preferiscono pagare per accedere alla tv ma i canali in chiaro, che offrono palinsesti popo-lari, rimangono preponderanti nel Paese».
Persino la Spagna fa i conti con un’impennata del 24% della televisione online, anche se quella tradizionale continua ad attrarre gli spettatori per quattro ore e due minuti al giorno. E la società di ricerca considera la terra iberica più aperta alle novità del piccolo schermo rispetto all’Italia. Quasi che la Penisola sia ormai l’ultimo baluardo dove resiste la tv dell’antenna. Nonostante internet e probabilmente Netflix.
IL CASO USA: LA GRANDE RIVOLUZIONE TVFa storia a sé il mercato televisivo statunitense. «Gli americani tengono la tv sempre accesa, quasi fosse una colonna sonora della giornata – afferma l’esperto della società di ricerca “Ihs Technology”, Dan Cryan –. Ciò spiega perché negli Usa il consumo giornaliero di televisione è addirittura superiore a quello italiano». Infatti negli States si rimane incollati al piccolo schermo per almeno sei ore al giorno. La “vecchia” tv – che qui è sinonimo soprattutto di pay-tv via satellite e via cavo – è ancora ben radicata nel quotidiano degli americani. «Ma stiamo assistendo a una rivoluzione silenziosa», dice Cryan. L’erosione degli spazi che erano riservati alla tv tradizionale è compensata dall’impennata della televisione online. Il tempo dedicato alla visione di programmi su Netflix, Amazon Prime e Twitch è cresciuto del 24% nel 2014.