venerdì 15 marzo 2024
Parla l’inventore dello spazio teatrale romano, il tendone di un circo, che mezzo secolo fa rivoluzionò il modo di andare in scena e di assistere agli spettacoli
Teatro Tenda, il sipario sempre alzato di Carlo Molfese
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Parla l’inventore dello spazio teatrale romano, il tendone di un circo, che mezzo secolo fa rivoluzionò il modo di andare in scena e di assistere agli spettacoli Ci sono teatri che anche se chiusi da decenni non hanno mai abbassato il sipario. «Al Teatro Tenda poi, il sipario noi non ce l’avevamo», dice ridendo uno degli ultimi signori dello spettacolo: Carlo Molfese. Il 26 maggio festeggia 90 anni. Classe 1934, nato per caso in Lucania, a Brienza, dove i genitori, napoletani, attori di giro della compagnia di Carlo Titta, si erano fermati il tempo di andare in scena con I figli di nessuno. E quel figlio benedetto dal Cielo dei teatranti, dopo quattro giorni fece il suo debutto da attore. Mestiere che ha parzialmente abbandonato nei primi anni ‘60 per farsi («trascrittore delle poesie in napoletano di Totò, le mie prime 10mila lire le ho guadagnate grazie al Principe»), talent scout e impresario. Ma sulla sua carta d’identità vorrebbe che fosse scritto: “Inventore di teatri, piccoli e grandi”. Invenzioni di un uomo che confessa «sono uno che ne ha fatte di cotte e di crude e non ha ancora smesso», e che vanno dalla cantina cabarettistica del Cab37 «che prima di me aveva aperto Maurizio Costanzo e dove feci debuttare un musicista 18enne, un certo Nicola Piovani che poi mi pare sia arrivato all’Oscar», sorride divertito. «Poi ho inventato il San Carlino, il Teatro delle Muse, il Giulio Cesare fino alla scoperta che definirei epocale, per congiunture astrali, politiche e sociali: il Teatro Tenda».

Il tendone itinerante, dal centro alle periferie pasoliniane
Una creatura mitica questa, che vive ancora nei ricordi nitidi di quella generazione dei ragazzi di una Roma bella, quanto martoriata e ostaggio del piombo terroristico degli anni ’70. La lampada di Molfese ad illuminare l’ultima grande bellezza di una città, che era ancora dei romani, si accese nel 1973 dentro un tendone a strisce, rosse e blu, «acquistato di seconda mano, dalla ditta Cannobbio di Milano», puntualizza. «L’idea mi venne da una provocazione necessaria e un civilissimo atto di ribellione alla politica dominante del tempo. Dato che non appartenevo a nessuna lobby avevo difficoltà ad avere teatri a disposizione per i tanti artisti che già seguivo e di cui ero amico. E allora ho seguito il consiglio di Petrolini che diceva “se non te lo danno, allora fatte un teatro per conto tuo”. E così ho fatto. Quello che a qualcuno sembrò un capriccio episodico durò la bellezza di dieci anni, con più di 2 milioni di spettatori paganti che entrarono ed uscirono da sotto quel tendone». Un teatro itinerante che si muoveva rigorosamente in direzione ostinata a contraria: dal centro della capitale a quelle periferie abitate dai ragazzi di vita e dagli accattoni pasoliniani.

La prima compagnia: io, mia moglie, Baudo, Banfi e Nazzaro
La prima compagnia di giro del Tenda era composta da quel signore di mezza età, che per eleganza e anima satirica ricorda Marcello Marchesi, e gli amici di una vita. «Eravamo io, Pippo Baudo, Lino Banfi e il compianto e caro Gianni Nazzaro. Con noi poi c’erano anche tre soubrette: Solvi Stubing la “bionda”, donna immagine della birra Peroni, Carla Brait (sostituita da Stefania Rotolo che povera morì troppo giovane) e Maria Luisa Serena che da 57 anni a questa parte è anche mia moglie». Dopo il rodaggio della prima stagione sperimentale, il debutto ufficiale del Teatro Tenda fu esattamente cinquant’anni fa: 1974, sotto il tendone Aldo Fabrizi recita in Baci, promesse, carezze, lusinghe, illusioni. «Per attirare i romani non potevo che offrirgli un pilastro della romanità. Fabrizi era entusiasta, uno spettacolo unico, lui che per due mesi tutte le sere dialogava con il pubblico, con il suo popolo». Il forza venite gente («come lo spettacolo omonimo su san Francesco di Mario Castellacci») attirava tutto il popolo romano, al quale come anteprima della prima stagione ufficiale venne offerto il Masaniello «con i fantastici Mariano Rigillo e Angela Pagano» e poi Rocco Scotellaro di Nicola Saponaro, interpretato da Bruno Cirino. «Testi politici, che parlavano “a e” di una certa sinistra alla quale venivamo affrancati. Ma io sono sempre stato un uomo libero, senza tessere, il mio unico partito era e rimane lo spettacolo».

Dario Fo tornò a Roma dieci anni dopo solo per me con “Mistero buffo”
Dopo le prime prove ben riuscite il grande colpo: la discesa dei milanesi da Nobel. « Dario Fo mi chiese di ospitare il suo Mistero buffo. Erano dieci anni che mancava da Roma. Furono tre mesi di pienone, un successo caloroso e coinvolgente. Dario e sua moglie Franca Rame mi diedero la spinta a insistere con quel folle progetto itinerante in cui davo ospitalità a tutte le compagnie che bussavano alla mia Tenda». Ma dal 1976 il Teatro prese la sua residenza stabile a Piazza Mancini, allargandosi fino a 2200 posti e un biglietto popolare al costo medio di 2mila lire.

Il pubblico: 70% erano giovani in fila per ore, arrivavano con il passaparola
«Non esistevano né prenotazione, né posti numerati. La regola era chiara: chi prima arriva meglio alloggia. Noi cambiammo la mentalità e il modo di fruire il teatro, aprendolo a quelli che non c’erano mai stati prima, a cominciare dai giovani che rappresentavano il 70% del nostro pubblico. Ho visto ragazzi disposti a fare la fila dalle 3 del pomeriggio fino alle 9 di sera pur di entrare a sentire il concerto degli Inti-Illimani che fu il primo gruppo musicale ad esibirsi al Tenda». Sei ore di fila anche per assistere al più rivoluzionario degli spettacoli che inaugurarono l’era leggendaria del Teatro di Piazza Mancini: A me gli occhi please di Gigi Proietti.

Gigi Proietti: “A me gli occhi please”, un fenomeno da 458.411 spettatori
«Un fenomeno senza eguali. Quello spettacolo era nato per stare su una settimana e alla fine, nonostante due minacce di attentati con tanto di telefonate intimidatorie, “c’è una bomba in teatro”, andò avanti e furono sei mesi di repliche clamorose. 458.411 spettatori paganti – scandisce con orgoglio Molfese . Un record assoluto. Gigi con A me gli occhi plaese portò alla ribalta nazionale il Teatro Tenda e a sua volta il Teatro Tenda lo consacrò tra i mostri sacri di sempre. E di questo devo ringraziare quel gran signore di Massimo Fichera, allora direttore di Rai2: seguiva tutti i nostri spettacoli e registrò tre puntate di A me gli occhi please che ora sono custodite nelle Teche Rai». Proietti una sera al Tenda ottenne anche l’encomio pubblico del “Maestro”, Eduardo De Filippo: «Eduardo alla fine dello spettacolo si alzò, andò sotto il palco, strinse e baciò le mani a Gigi, e lo fece in maniera così paterna che era come se gli avesse lasciato il testimone… Ma di Eduardo parliamo dopo».

Gassman portò in scena Pasolini e si scatenò il dibattito politico
Già, perché ora Molfese fa entrare in scena il “Mattatore”, Vittorio Gassman. «Un altro momento di svolta. Con Vittorio il popolo seduto in platea si ritrovava a fianco all’intellighentia nazionale. Sette giorni all’asta fu il debutto di Gassman al Tenda, poi nel ’77, a due anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini, portò in scena Affabulazione. Spettacolo che ovviamente scatenò un forte dibattito politico e allora con Luciano Lucignani pensammo di organizzare un convegno ( Per conoscere Pasolini) a cui presero parte Alberto Moravia, Laura Betti, Enzo Siciliano… e tanti altri che ovviamente non mancarono di venire a vedere anche lo spettacolo di Vittorio.

Berlinguer e l’Avvocato venivano ad assistere ai nostri spettacoli
La cosa incredibile è che artisti come Gigi, Vittorio e Roberto Benigni (che al Tenda per tre mesi fece TuttoBenigni) erano capaci di attirare e far sedere in prima fila il Palazzo della politica: Enrico Berlinguer ,come Bettino Craxi o l’Avvocato Gianni Agnelli che una sera si presentò in incognita senza avvisare. In un tempo esclusivamente social sembrerà strano ma al Tenda funzionava solo il megafono del passaparola. Non c’era una programmazione, niente cartellone, qualche locandina e un sipario inesistente, tranne per Proietti che per ragioni sceniche pretese che il sipario ci fosse». Piccoli vezzi e manie di “irregolari” attratti dal canto delle sirene di piazza Mancini, come accadde a Carmelo Bene. «Come feci a gestirlo? Carmelo addirittura accettò di buon grado di venire come “sostituto”. Irene Papas ebbe un incidente alle corde vocali e dovette rinunciare alla Medea di Corrado Alvaro. A quel punto con Roberto Lerici rintracciamo Bene che era in tournée e gli chiedemmo se ci copriva quel buco. Lui si presentò e per due settimane portò in scena La tragica storia del Dottor Faust di Christopher Marlowe. Fu semplicemente straordinario, una scommessa vinta. Una delle tante, così come fu allestire l’Avaro di Molière di Mario Scaccia, Amore e magia nella cucina di mamma, la storia di Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio, della straordinaria Lina Wertmüller, che portò l’horror a teatro. Ma anche La bottega del Caffè di quel genio ingiustamente dimenticato di Vittorio Caprioli. Per non parlare del Cyrano di Domenico Modugno… Oh, per Mimmo ci fu gente che venne a rivedere lo spettacolo anche quattro volte». Spettacoli che hanno fatto la storia del teatro italiano partendo da quel tendone dove si cantava con i giovani cantautori del Folk Studio e si rideva con gli ultimi principi della risata. «Renato Zero con Zerofobia e Lucio Dalla (documentato da Carlo Verdone al Teatro Tenda in Borotalco) hanno spiccato il volo da quel palco dove un Gino Paoli ormai all’apice del successo poteva permettersi il lusso di cantare le canzoni e registrare un disco dal vivo di Piero Ciampi. E sulla scia di Benigni, arrivarono i giovani comici: I Gatti di Vicolo Miracoli, i Giancattivi con Athina Cenci, Alessandro Benvenuti e Francesco Nuti e la Smorfia di Lello Arena, Enzo Decaro e dell’immenso Massimo Troisi. Ragazzotti che erano appena usciti dalle cantine da 100 spettatori e si ritrovarono catapultati sotto il tendone con una platea di 2mila persone venute apposta per ridere e non pensare, almeno per due ore, che là fuori si sparava ed era in corso un’altra guerra che per fortuna dentro al Teatro Tenda non è mai entrata». E al Tenda una sera entrò nuovamente Eduardo De Filippo. «Tutto il mondo dello spettacolo mi chiese di organizzare una “serata omaggio” a Eduardo. Fu qualcosa di indescrivibile, una commozione che è rimasta fino all’anno dopo, quando fu Eduardo a chiamare me per darmi una mano dopo il “disastro”…”

La grandinata del ‘79: riaprimmo grazie al cuore di Eduardo
Il 15 settembre del 1979 una grandinata distrusse la copertura del Tenda, sembrò l’inizio della fine, e invece… «Un danno morale ed economico difficile da sanare in poco tempo, ma il genio infinito di Eduardo possedeva anche un cuore grandissimo: per 21 sere recitò Il berretto a sognagli nell’altro mio teatro, il Giulio Cesare, devolvendo per intero l’incasso che servì a ristrutturare il Tenda. Tre mesi dopo da quella sciagura, grazie a Eduardo ma anche all’obolo uscito dal conto personale del Presidente della Repubblica Sandro Pertini che aveva assistito allo spettacolo finale, ero pronto a riaprire ». E il nuovo inizio fu segnato dal ritorno di Dario Fo. «Grazie a Dario e a Franca Rame inventai sei stagioni di “Teatro popolare internazionale” con nomi che andavano dalla figlia di “Charlot”, Victoria Chaplin, ai poeti Raphael Alberti e Evgenij Evtušenko, fino al teatro dialettale di Andrea Camilleri, che non era ancora il papà di Montalbano e al Tenda portò U Ciclopu ». Ciclopi e giganti del palco, Nobel, premi Oscar e autori di best seller da milioni di copie, questa la grande bellezza passata dentro a un teatro che trent’anni fa, nel 1984, visse la sua ultima stagione. Poi una sera la musica è finita, le luci si spensero e con loro anche le stelle luminose dei tanti amici artisti che dal palco fecero l’ultimo inchino e salutarono per l’ultima volta il pubblico del Teatro Tenda. «Tanti di quegli amici purtroppo se ne sono andati per sempre. Alcuni li sento ancora. Con Pippo, Lino e Mariano Rigillo non ci siamo mai persi. Ogni tanto ci telefoniamo con Benigni…». Molfese si emoziona. Ma per la nostalgia di quegli anni formidabili che forte trasmette il suo racconto viene da chiedersi: un altro Teatro Tenda oggi sarebbe possibile? «No, non c’è più quel materiale artistico che spesso era anche di altissima qualità umana. Forse se ne avesse voglia potrebbe reinventarselo Fiorello, ma oltre alla passione per lo spettacolo servono anche capacità da impresario. Io grazie a queste due doti, che potrei anche chiamare talenti, ho vissuto con una sola certezza: il sipario nella mia vita non si abbasserà mai»

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