Una vita romanzesca, tra matrimoni segreti, fughe e agnizioni, e un virtuosismo leggendario – tale da essere eguagliato in fama solo un secolo dopo da quello di Paganini – hanno fatto di Giuseppe Tartini e del suo violino una celebrità della storia della musica nonché un topos della letteratura romantica ( L’allievo di Tartini si intitola un racconto di E.T.A. Hoffmann del 1819) ma allo stesso tempo hanno posto un velo sulla sua musica: della nutrita produzione è rimasto in repertorio quasi il solo Trillo di Diavolo, una sonata per violino e basso continuo (per la tradizione fu scritta dopo l’ascolto in sogno dall’archetto del demonio stesso) divenuta cavallo di battaglia dei virtuosi di Otto e Novecento, i quali però l’hanno sottoposta al proprio gusto al punto che la versione più diffusa è quella arrangiata da Fritz Kreisler con aggiunte di brividi funambolici a una scrittura, come quella tartiniana, che è soprattutto sperimentazione timbrica. Come dire: un eccesso di decorazione che maschera la struttura. Forse anche per questo troppo di fama – il suo nome non cadde nell’oblio come gran parte dei grandi virtuosi dell’arco barocchi, a partire da quello di Vivaldi – curiosamente Tartini aspetta quella renaissance di cui invece gode ormai da anni, grazie a esecuzioni storicamente informate, il repertorio a lui coevo. E il momento potrebbe essere arrivato, dato che domani si celebrano i 250 anni della morte (avvenuta a Padova, dove Tartini lavorò per decenni nella basilica del Santo come “maestro dei concerti”) del violinista nato a Pirano – in Istria: allora terra della Serenissima, oggi Slovenia – l’8 aprile 1692. Per l’occasione è stato avviato un progetto Interreg che coinvolge Italia e Slovenia e combina tanto l’elemento culturale quanto quello turistico. A Trieste il Conservatorio, intitolato a Tartini, conserva nella propria biblioteca oggetti, edizioni e manoscritti riguardanti il compositore (recentissima è l’acquisizione di una rara copia a stampa del Trattato degli abbellimenti) che da domani confluiranno nell’“aTelier di Tartini”, percorso espositivo permanente tra documenti, cimeli e stazioni multimediali. L’altro polo è Pirano, di cui Tartini è nume tutelare, con il monumento nella piazza, inaugurato nel 1896, e la casa natale che ospita un museo riallestito per l’occasione e dota ve è esposto tra l’altro il solo violino a oggi noto tra quelli appartenuti al musicista. A questo proposito è stata attivata la “Tartini Route”, tre percorsi transfontalieri che propongono i luoghi di Giuseppe Tartini. Parallelamente è stato attivato il sito discovertartini.eu, dove non solo sono ricostruite la vi- e le opere di Tartini ma soprattutto è possibile esplorare il catalogo tematico delle sue composizioni, la trascrizione delle lettere e degli studi scientifici, gli spartiti musicali, registrazioni dei suoi lavori, e una raccolta di studi storici su Tartini di difficile reperimento. Per questa “Tartinipedia” il Conservatorio di Trieste ha curato la digitalizzazione di oltre 6.000 documenti: 4.200 di proprietà dell’istituto, fra musica manoscritta e a stampa, e 1.800 tra beni archivistici e scritti teorico-musicali conservati nell’Archivio di Capodistria. Completa il quadro la pubblicazione dell’epistolario tartiniano in edizione trilingue (italiano, sloveno, inglese), 229 lettere, 83 delle quali inedite, fondamentali per delineare la personalità di un artista poliedrico: le lettere sono ricche di informazioni sul Settecento musicale italiano e rivelano la personalità di Tartini, figura di spiccato rilievo intellettuale interessato anche a problemi di fisica acustica (nel 1714 scoprì il “terzo suono”, un suono fantasma risultante da un bicordo di quinta perfettamente intonato) e di scienza dell’armonia. D’altronde è difficile sottostimare il peso storico e artistico di Tartini.
A Padova a partire dal 1726 si dedicò all’insegnamento del violino e del contrappunto, fondando una scuola frequentata da studenti provenienti da tutta Europa, che gli valse il titolo di “Maestro delle Nazioni”. «La didattica tartiniana – spiega la musicologa Margherita Canale –, incentrata sullo studio strumentale, era strettamente modellata sulla vocalità e sull’articolazione del discorso, nutrendosi anche di riferimenti a musiche popolari. Le provenienze degli allievi furono varie: oltre al Veneto e le regioni italiane del nord e del centro, arrivavano da Dalmazia, Francia, Boemia, Germania, Svezia e, stando alla dedica dell’edizione a stampa delle Sonate op. 2, persino da Giava. Il rientro nei paesi di origine degli stranieri e la carriera europea di molti allievi italiani determinò un’ampia influenza in tutta Europa dello stile, degli ideali musicali e dell’ampio patrimonio culturale tartiniano. A partire dalla lezione di Tartini i suoi allievi operarono una diffusione degli ideali e dello stile musicale del maestro, contribuendo a una identità musicale europea, in gran parte alla base di quello che verrà denominato successivamente stile classico».
La maggior parte degli autografi tartiniani sono conservati presso la Biblioteca musicale della Cappella antoniana a Padova, ma una grande mole di manoscritti si trova in biblioteche italiane, francesi, austriache, tedesche, svedesi e americane. Di Tartini conosciamo circa 150 concerti per violino e orchestra, due concerti per violoncello, e quasi 200 sonate a violino e violino solo, un gruppo di sonate a tre e a quattro e una manciata di brani di musica sacra, tra cui un Miserere eseguito nella Cappella Sistina per papa Clemente XIII nella Settimana santa del 1768. «La scrittura musicale di Tartini è ricca di raffinatezze armoniche – prosegue Canale –, l’originalità della costruzione della frase musicale deriva dal fatto di essere pensata come un discorso e spesso modellata su testi poetici. Alcuni movimenti lenti delle sue composizioni spiccano tra le vette dell’espressività settecentesca e rivelano un mondo interiore e spirituale ricchissimo, che l’interprete deve saper cogliere. L’interpretazione di questa musica necessita perciò di una attenta valorizzazione del fraseggio e del senso del discorso musicale, tanto che già all’epoca si diceva che la musica di Tartini non può essere capita e valorizzata senza rifarsi al gusto interpretativo della sua scuola, che era nota per la capacità di “cantare” sullo strumento». Anche per questo, dopo questo lavoro di scavo sulle fonti ora ci si augura un investimento sulla produzione di performance, per riportare definitivamente in vita il patrimonio tartiniano.