Solo trent’anni fa, a Mansheyet Nasr le bambine venivano date in spose a dieci anni e nel corso della vita mettevano al mondo, nell’immondizia, una dozzina di figli, vedendone morire la metà. «Oggi le ragazze possono studiare, magari andare all’università e poi scegliere da sole chi vogliono sposare». È forse questo l’esempio che suor Sara più ama ripetere quando racconta i cambiamenti avvenuti sotto la collina del Moqattam, periferia del Cairo, nel più grande quartiere abitato dai raccoglitori di immondizia resi noti al mondo grazie all’opera della religiosa franco-belga suor Emmanuelle, scomparsa lo scorso ottobre. Proprio tra gli
zabaleen (letteralmente, in arabo, gli «uomini dei rifiuti»), nel bel mezzo di questi quartieri-discarica completamente coperti di mucchi di ferraglia e plastica, cartone e stracci, maiali e topi, nel 1975 nacque il legame tra la suora che aveva lasciato l’insegnamento per la baraccopoli e la ventottenne egiziana di origini borghesi che, dopo gli studi commerciali, aveva scelto di diventare infermiera e di consacrare la sua vita a Dio nella congregazione copta ortodossa delle Figlie di Maria. Quando si incontrarono, suor Sara viveva in convento a Beni Suef. «Non esitai un secondo a seguire Emmanuelle tra gli
zabaleen», ha raccontato. «Erano uomini e donne messi al bando dalla società a causa del loro lavoro degradante, famiglie copte additate perché allevavano maiali, animali considerati impuri, in terra d’islam». Tra questa massa di emarginati – oggi solo al Moqattam vivono circa quarantamila persone, quasi tutti cristiani – le due religiose cominciarono a lavorare fianco a fianco per ridare dignità agli
chiffonièrs, in particolare ai più vulnerabili tra loro: le donne e i bambini. Tra le casette ricolme d’immondizia dove ancora oggi molti ragazzini lavorano differenziando i rifiuti, a quei tempi il tasso di mortalità infantile era del 50%, a causa delle infezioni, della mancanza di igiene e, soprattutto, del terribile tetano. Suor Sara e suor Emmanuelle partirono proprio da qui: l’educazione igienica e sanitaria, l’accesso ai vaccini, il diritto alla salute per tutti attraverso la costruzione di dispensari e la distribuzione di farmaci. Oggi non solo il tetano è stato vinto – nel quartiere non si è più verificato un caso dal 1990 – ma per le raccoglitrici d’immondizia la qualità della vita è meno dura: le donne incinte, tra cui ci sono sempre meno adolescenti, possono affrontare la gravidanza e il parto con sicurezza per se stesse e per i loro piccoli. Un risultato ottenuto grazie alla capacità di unire determinazione e delicatezza, intransigenza sui diritti e profondo rispetto per le tradizioni di questi
saidi: contadini originari del sud dell’Egitto immigrati al Cairo per sfuggire alla fame e trasformatisi pian piano nei «manager» della spazzatura dell’intera metropoli. La stessa suor Emmanuelle sottolineava quanto fosse importante, nell’opera di sviluppo sociale della comunità di Mansheyet Nasr, una presenza come quella della giovane religiosa egiziana: «Quando le donne del quartiere hanno qualche problema intimo da confidare – raccontava –, non vengono da me, vanno da suor Sara».Fu naturale, quando nel 1993 la religiosa 85enne fu richiamata per la «pensione» in Francia, passare alla sua «consorella copta» il testimone dell’
Operation orange, come era stata battezzata l’opera da quando le suore avevano chiesto ai sostenitori un’arancia alla settimana per ogni bambino assistito, così da garantire loro un apporto minimo di vitamine. Oggi, dalle arance si è arrivati all’elettricità e all’acqua corrente per tutti e l’
Operation orange ha raggiunto altri due quartieri di raccoglitori di immondizia del Cairo, Ezbet el-Nakhl e Maadi-Dora, ed è stata esportata fino in Sudan e Libano. Ma quando suor Sara, con quel mix di energia e dolcezza che la caratterizza, racconta ai giovani il piccolo miracolo del Moqattam, nell’elenco delle opere portate avanti in questi anni mette sempre al primo posto le scuole: materne, elementari, medie e due licei, grazie ai quali oggi la scolarizzazione tra i figli degli
zabaleen è del 90%. «Ben più della media nazionale, che è del 70%», sottolinea la religiosa. Molti di questi ragazzi lasciano poi il quartiere per frequentare l’università. Ma spesso, alla fine della loro formazione, decidono di tornare per lavorare nei dispensari, nelle scuole, nei centri femminili, nelle cooperative dove si riciclano i rifiuti per farne oggetti da vendere. L’Operation orange, così, ha un volto sempre più egiziano, e radici che affondano in misura crescente nel territorio. Non a caso la regola voluta da suor Sara e dalle trentasei consorelle che oggi lavorano con lei chiede che il personale impiegato in tutte le attività sia locale. Perché cambiare davvero è possibile solo dall’interno, scommettendo sul potenziale dei giovani. E delle giovani: nel 1995 a Mansheyet Nasr è sorto il liceo Basma («sorriso»), dove le ragazze possono conseguire un baccalaureato triennale tecnico. «Solo il 12% delle egiziane raggiunge questo livello di studi», precisa con orgoglio suor Sara. «Le ex raccoglitrici di immondizia, che prima non avevano nemmeno il permesso di uscire dal quartiere, oggi possono avere un’istruzione, ottenere un diploma che permetterà loro di trovare un lavoro dignitoso oppure continuare a studiare all’università: questo è il trampolino verso la loro emancipazione e quella delle generazioni future». Suor Emmanuelle amava ripetere che «se educhi un uomo educhi un individuo, ma se educhi una donna educhi un popolo intero». Tra le vie maleodoranti del Moqattam, suor Sara porta avanti e fa crescere, ogni giorno, questa eredità.