«Dai Isabella che manca poco all’arrivo...», gli urlano per incitarla i maratoneti dell’ottava Marcia della Pace Betlemme-Gerusalemme organizzata dal Centro Sportivo Italiano e l’Orp (Opera romana pellegrinaggi). Ultime bracciate alla ruota della carrozzina di «Isa». Da dietro, la spinta sudata e amorevole di suo marito, Alberto. Ed eccolo là, il traguardo di Notre Dame. Isabella ce l’ha fatta ancora. Il volto paonazzo, accaldato per i 30 gradi del sole che brucia in Terrasanta e per quegli interminabili 12 chilometri vissuti con il cuore in gola, ma con una gioia sconfinata per aver condiviso un momento storico insieme a palestinesi e israeliani, uniti al grido incessante di “Pace, Pace”. «Che emozione ragazzi... - dice Isabella - . Se sono arrivata fin qui devo dire grazie a quell’uomo speciale che è padre Caesar Atuire (amministratore delegato dell’Orp). È una sensazione incredibile aver tagliato il traguardo. Padre Caesar, per qualche chilometro si è seduto addirittura sopra le mie gambe...». Isabella sorride divertita, «perché questa è una delle più belle giornate della mia vita. Ringrazio Dio e tutti quelli che mi vogliono bene per avermi fatto arrivare fino a Gerusalemme». Lacrime calde e sincere, scendono dagli occhi degli altri maratoneti che l’hanno accompagnata in questa ennesima sfida. Sì perché Isabella Vicanò è una donna di 43 anni alla quale a 26 venne diagnosticata una distonia muscolare. Otto anni passati da un ospedale all’altro: terapie, dolore, rabbia e speranza, prima di finire su una sedia a rotelle. Ma Isabella è forte come una leonessa: è la mamma di Anastasia 19 anni e di Valerio 13, che è nato quando la malattia aveva già sferrato i primi terribili colpi ai suoi muscoli. «Mi avevano sconsigliato la gravidanza e invece Valerio è nato sano e libero. Con Anastasia spesso mi dicono: “Non ti preoccupare mamma, da piccoli eri tu che spingevi i nostri passeggini, adesso tocca a noi farlo con la tua carrozzina”. Sono i miei tesori». Sono i suoi angeli custodi, assieme al marito Alberto che con i malati e la sofferenza della gente ci lavora tutti i giorni al 118 di Valmontone. «Alberto è un compagno di vita meraviglioso. Ho conosciuto tante donne finite sulla carrozzina come me che poi sono state abbandonate dai mariti. Alberto invece non passa giorno che mi ripete: “Io Isabè ti amo molto di più di quando stavi bene”». Si commuove mentre ripete le parole d’amore del marito. Lo fa in romanesco.Isabella è di Valmontone, ma vive ad Artena a 50 chilometri dalla capitale. «Abitiamo in un condominio al quarto piano e stiamo senza ascensore. Non l’hanno voluto mettere. Abbiamo un mutuo da pagare e sinceramente 10mila euro da tirare fuori di tasca nostra per acquistarlo non ce l’abbiamo». Anche per fare sport Isabella si autofinanzia.Ma lo fa con una passione contagiosa, specie da quando ha scoperto la sua disciplina: il tiro a segno. «Ho cominciato a sparare al poligono con mio marito. Poi il mio attuale allenatore, Paolo Damizia, ha visto che pur essendo una principiante e per di più in carrozzina, centravo un numero importante di bersagli e mi ha proposto di tornare. Uno sport violento per via della pistola? Assolutamente no. Una pistola invece di uccidermi mi ha salvato la vita, mi ha permesso di uscire di casa e di liberarmi da quella “cella di isolamento” in cui in genere si imprigiona ogni disabile con la propria famiglia». Una libertà che la Vicanò assapora pienamente il mercoledì: sveglia alle 7,30 e con Paolo fino a Roma, al poligono di Tor di Quinto. «Ci alleniamo scrupolosamente, poi c’è il pranzo con gli altri atleti. Insomma una festa». E Isabella fa festa anche quando gareggia. Ad Alicante alla World Cup per disabili ha vinto la medaglia d’argento, vicecampionessa del mondo con 360 centri. E a Milano ha appena conquistato il titolo italiano nella specialità pistola ad aria compressa con 363 bersagli colpiti. «I suoi numeri sono 525 nella Pistola Libera e 341 nella P5», sottolinea il suo allenatore che guarda con ottimismo alle Paralimpiadi di Londra 2012. «Io la carta olimpica ce l’ho già, me la sono guadagnata con il secondo posto ai Mondiali», dice Isabella con orgoglio e la solita grinta che le sta facendo affrontare l’ennesimo ostacolo che si è parato sul suo cammino. «Mi hanno trovato un tumore al seno. Anzi appena finisce questa nostra chiacchierata devo salire in camera a fare la chemio». Lo dice con il solito sorriso negli occhi, quello con cui ogni mattina abbraccia i colleghi e il suo capo, Massimiliano Petrichella, «che non smetterò mai di ringraziare per avermi assunta, ma soprattutto per il suo grande sostegno morale». Riconoscenza e umiltà di una donna e di una sportiva che si aggrappa continuamente alla fede. «Senza l’aiuto di Dio come avrei fatto a Betlemme a scendere fin là sotto nella Chiesa della Natività? Grazie a Francesco ci sono riuscita e lì mi ha unto con l’olio santo rispondendo alla mia incredulità: “Isa, Dio vuole così”. Con «l’aiuto da Lassù», Isabella vuole arrivare ai Giochi di Londra e magari continuare a partecipare ad altre maratone come questa in Terra Santa: «Basta solo che qualcuno mi spinga. Magari qui potrei tornarci l’anno prossimo con i miei figli...». Isabella non molla, ha forza e coraggio da vendere, come quando si lancia in “tandem” con il paracadute con il suo Alberto che è un esperto della caduta libera. «Ci lanciavamo spesso con Pietro Taricone, un amico e un ragazzo sensibilissimo che ora ci manca tanto», racconta Isabella che nel mondo dello sport ha un solo idolo che vorrebbe tanto conoscere: Alex Zanardi. «Credo che la storia di Zanardi sia d’esempio per tutti, non solo per noi disabili. Gli ho chiesto l’amicizia su Facebook, ma vorrei tanto conoscerlo di persona e chiedergli se è possibile partecipare in qualche maniera alle sue attività sportive. Io, come Alex, nonostante tutto, mi sento una persona fortunata. Quando hai una famiglia meravigliosa, una fede incrollabile e uno sport che ami, la vita è ancora bella».