mercoledì 4 maggio 2016
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Un viaggio alla ricerca della propria identità, un «romanzo di formazione». Così il regista Roland Emmerich definisce Stonewall, in uscita domani. E, difatti, presenta tutti i cliché e le furbizie del genere “adolescenziale” il film che racconta la nascita del movimento Lgbt e le rivolte del 1966 a New York che opposero per tre giorni di lotta poliziotti e omosessuali. Tantoché molti rappresentanti del movimento Lgbt americano hanno criticato il film proprio per la scelta patinata di raccontare fatti realmente accaduti attraverso una storia di fantasia, protagonista un ragazzo bianco dell’Indiana, Danny ( Jeremy Irvine), dal faccino pulito e ingenuo. Il quale si trova a scoprire la sua omosessualità e a viverla in modo drammatico sulle strade dell’America conservatrice e bigotta degli anni 60. Lo accompagna un gruppo di stravaganti e simpatici ragazzi di strada, rappresentati per stereotipi stile Priscilla la regina del deserto. Il mondo omosessuale americano avrebbe voluto un film più graffiante e con meno bianchi e più neri, veri protagonisti delle rivolte. Ma se qualcuno si è deciso a sborsare 14 milioni di dollari per produrre il film, diretto da un pezzo da novanta come Emmerich, regista di blockbuster come Indipendence Day e Godzilla, un motivo ci sarà. Insomma, Stonewall è un film avvincente e furbo, politico proprio per il suo taglio di propaganda popolare. Per carità, alcune ragioni di fondo sono sacrosante, come il rispetto dei diritti civili (in 77 Paesi nel mondo l’omosessualità è considerata reato), la lotta alla violenza e il rispetto per le sofferenze di tanti ragazzi rifiutati dalle proprie famiglie (il 40% degli homeless giovani negli States sono omosessuali). Nel film Danny è buttato fuori da una famiglia di ferventi cristiani, e spiace che la religione sia vista solo come repressione o ipocrisia (vedi il potente politico che cerca di sedurre il ragazzino citando il Vangelo). Dal punto di vista narrativo, seguire gli innamoramenti e le delusioni dell’ingenuo Danny rendono più appetibile un film dove, pur non indulgendo a scene eccessive, l’atmosfera è fortemente a tesi. Il protagonista attraversa una sorta di inferno dantesco, quel mondo fatto di degrado e prostituzione in cui erano coinvolti i ragazzi sbandati che ruotavano attorno allo Stonewall del Greenwich Village, uno dei primi bar gay di New York. Un locale gestito dalla mafia, che sfruttava i giovani e prezzolava la polizia. In questo contesto nell’estate del 1966 scoppia la rivolta che viene considerata l’inizio del movimento per i diritti omosessuali. Giustificato il sogno di avere una vita normale, molto meno quello della normalizzazione a tutti i costi. Vedi l’effetto Mulino Bianco nel finale con Danny sorridente che sfila nel 1970 alla prima parata del Gay Pride davanti a sorella e mammà. © RIPRODUZIONE RISERVATA Esce il domani la pellicola di Emmerich, tecnicamente accattivante ma sostanzialmente politica, sulla rivolta che nel 1966 diede il via al movimento Lgbt
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