Esistono gli All Blacks Deaf, la nazionale neozelandese di rugby sordi e la Haka e rigorosamente fatta nel silenzio della lingua dei segni neozelandesi. Come tradizione sono forti, temibili, rugbisti in tutto e per tutto. E poi esistono gli Abnormals, soprannome dell’Italia Rugby Sordi. Sì gli “Anormali”, sono italiani e sono una ventina di ragazzi dai sedici agli oltre quarant’anni che giocano a rugby. Tanta voglia di esserci e misurarsi con l’ovale in mano per andare in meta. «La società sportiva “Italia Rugby Sordi” nasce nel marzo 2015, da una idea del 2011 di Loris Landi, oggi giocatore e consigliere del club. Ha scoperto che nel mondo esistevano Nazionali composte da atleti sordi – fa sapere Alan Convito, il vicepresidente, anch’egli giocatore – Solo nel 2013 Loris è riuscito a raccogliere almeno otto ragazzi che hanno voluto provare la palla ovale organizzando durante l’estate il primo raduno».
La società allenata da Mauro Chilante al momento è in attesa di riconoscimenti ufficiali perché non è ancora stata affiliata alla Federazione italiana, che non ha ancora preso una decisione e che potrebbe riconoscerli come un “Superclub”, anteposto di una vera nazionale ufficiale che chissà, un giorno magari, esisterà davvero. «Non è possibile farci riconoscere come società Paralimpica perché il rugby non è riconosciuto come disciplina ufficiale, mentre ci sono trattative in corso con la FSSI (Federazione Sport Sordi Italia), che si occupa di qualsiasi disciplina sportiva che abbia come atleti sordi ma ancora non si è concretizzato granché». I rugbisti sono abituati a non fermarsi e gli “Abnormals” trovano stimoli nel loro logo societario: una pecora con la camicia di forza. Impossibile placcarli nei loro sogni e per questo nei fine settimana si ritrovano per allenarsi insieme, loro che provengono da ogni parte d’Italia, da Varese a Siena, da Bari a Roma, anche se la ricerca di nuovi ragazzi con deficit uditivi è costante.
Giocare in queste condizioni non è certo facile: «Molti di noi usano la Lingua dei segni ma abbiamo anche atleti che non la usano, il gruppo è lo stesso unito grazie alla mentalità che siamo riusciti a trasmettere usando sia l’italiano che la lingua dei segni mischiando il tutto – conferma orgoglioso Alan –. Ricordo bene che chi non aveva mai usato la Lis inizialmente aveva difficoltà a seguire il gruppo, poi è riuscito comunque a inserirsi bene avendo col tempo imparato questo linguaggio, anche grazie ai ragazzi che cercavano di includerli nella squadra. È una soddisfazione vedere che siamo riusciti a integrare bene le due lingue e, va detto, le due culture differenti tra persone con lo stesso handicap. Poi in campo, ovviamente, non possiamo usare troppo la lingua dei segni perché è una lingua visiva e noi gli occhi dobbiamo puntarli verso la palla e l’avversario. Stiamo imparando a comunicare tra noi senza l’uso della voce. Per chi non sente niente, è difficile poter comunicare con i compagni mantenendo gli occhi sull’avversario, poi durante le pause incrociamo gli sguardi per conferme, tattiche e correzioni». La sordità ha livelli diversi e l’Italia Rugby Sordi segue il regolamento imposto dalla WDRU ( World Deaf Rugby Union): il primo livello di sordità per permettere ai ragazzi di poter far parte della squadra, che corrisponde alla perdita dell’udito con una media pari a 25db. Anche i ragazzi che hanno un impianto cocleare possono giocare in squadra, ben tre ragazzi impiantati giocano regolarmente dimostrando ancora una volta che limiti nella vita ne esistono pochi.
«Sette le amichevoli in due anni, contro il San Marino poi Cus Varese Cadetta, Verona Scaleggio, Cus Ancona, Cus Genova Cadetta e l’incontro internazionale contro gli inglesi nel 2015. Sono arrivate sonore sconfitte dovute a inesperienza mentre recente la gioia per due vittorie sulla neve al torneo di Snowrugby 2017 di Tarvisio». A livello internazionale c’è un embrione di progetto di 6 Nazioni, in Inghilterra sono stati riconosciuti dalla federazione e hanno un campionato a loro riservato: «Il sogno è incontrare gli All Blacks, forse ci riusciremo nel 2018 perché siamo stati invitati dall’Australia, sempre sordi, a partecipare al torneo internazionale con la presenza di dodici nazionali sorde da tutto il mondo. Siamo pochi ma cresceremo, l’obiettivo importante è quello di aiutare a integrare la gente sorda nella società udente insegnando loro i valori che solo il rugby trasmette: rispetto, sacrificio, lealtà. Valori importanti anche nella vita quotidiana, aumentando la consapevolezza del ragazzo sordo di poter fare qualsiasi cosa ed essere assolutamente alla pari con il coetaneo udente nonostante un pesante handicap che è quello uditivo».
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