Il coreografo Aurelio Gatti, direttore artistico e ideatore della rete dei Teatri di Pietra
La scelta è forte e simbolica. In questi tempi strani e bui, in questa “battaglia” contro un male globale, in questo mondo che ha bisogno di cambiare il paradigma nel suo andare, la ripartenza degli spettacoli dal vivo dei “Teatri di Pietra” ha il volto e il temperamento del mito, di un grande gladiatore e condottiero romano: Spartacus, «ispiratore di una idea di rivolta che unisce più pensieri e pensatori, da Shakespeare a Pascoli. Non la rivoluzione in assoluto. Ma la rivolta che segue un fatto. La necessità di operare in una direzione. Di agire. Perché? Perché “questo s’ha da fare…”. La rivolta dell’uomo che sente che qualcosa si deve fare, assolutamente… Quella molla che per un sociologo scatta per una profonda etica di appartenenza, per il teatro è una necessità, una lotta di resistenza e di sopravvivenza. Perché il teatro senza pubblico non esiste. Il teatro in streaming, davanti a un tablet non è vero teatro. Non possiamo ridurlo a duetti e monologhi. Il virus non può essere un pretesto o un alibi per creare surrogati. È ora che il teatro torni a essere teatro. E così noi ripartiamo ». Il coreografo Aurelio Gatti, direttore artistico e ideatore nel 1999 della rassegna dei Teatri di Pietra con l’obiettivo di creare drammaturgica contemporanea in splendidi siti archeologici poco conosciuti, dà la carica a un mondo «dimenticato» e il via a un cartellone che si compone giorno dopo giorno, nelle difficoltà del momento, per far rivivere finalmente teatri e anfiteatri antichi in molte regioni italiane. Si comincia stasera, alle 19.30, a Sutri, uno splendido e inedito esempio di anfiteatro romano scavato in un banco tufaceo posto di fronte all’antica città e risalente agli anni tra la fine del I secolo a.C. e i primi anni del I secolo d.C. e che apre al pubblico grazie alla collaborazione con la soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per l’Area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale e il comune di Sutri. Dopo lo svelamento della scultura realizzata dall’artista Massimo Parrucci – un colossale elmo di Hoplomachus – che sarà collocata all’ingresso dell’anfiteatro per tutto il periodo delle rappresentazioni, andrà in scena dunque Spartacus, Ribellione e Rivolta, l’epopea del gladiatore ribelle che tra il 73 e il 71 a.C. tenne testa all’esercito romano con 120mila rivoltosi, molti dei quali gladiatori: rivisitazione di testi di Tertulliano e Plutarco, con Sebastiano Tringali e Ornella Cerro, le danze di Carlotta Bruni e Rosa Merlino, le musiche originali di Fabio Lorenzi. «È la nostra risposta, la nostra “rivolta” che scatta dopo il blocco forzato, nelle difficoltà logistiche, nelle complicazioni burocratiche e delle competenze nella gestione di questi siti, nella mancanza di visione e di attenzione sul mondo del teatro che ha segnato questa emergenza. Si è pensato alle imprese, alle spiagge, ai ristoranti, ai negozi, ma si sono trascurati altri mondi. La scuola. E il teatro». È una questione di sensibilità e di vedute. «Se uno pensa che la scuola sia solo informazione, mettere lo studente davanti a un tablet o a un pc risolve il problema – riprende Gatti, che parla con la saggezza della sua lunga esperienza e il calore di una passione sempre ardente –. Se invece uno ritiene che sia un percorso performativo dell’uomo, e non solo dello studente, allora tutto si può fare tranne che sottrarre quei riti, quei rapporti, quelle dinamiche della classe, del rapporto con l’insegnante che ne fanno un archetipo. Lo stesso è il teatro. Nell’incontro straordinario fra due comunità – attori e spettatori – e tre soggetti, perché si muovono e si incontrano in uno spazio, che è il teatro. Pensiamo che la gente, fiaccata dall’isolamento, abbia bisogno di ritrovarsi all’interno di una comunità per poter finalmente ricominciare a dialogare e interloquire. Il teatro è il perfetto antidoto alla pandemia, ma bisogna salvaguardarlo, anche con misure necessarie ed eccezionali nei confronti del pubblico e degli attori».
Questo vale per tutto il teatro. Ma vale ancora di più per i teatri antichi, dove qualunque attore, il più giovane come il più navigato e famoso, viene folgorato dalla loro magia. Non a caso il ministro della Cultura, Dario Franceschini, alla presentazione della stagione estiva della Fondazione Inda di Siracusa ha stimolato la creazione di «una rete dei teatri antichi ». I “Teatri di pietra” ne rappresentano già un esempio e una base importante da cui partire. «Un teatro antico non è un contenitore, tanto meno un fondale. È un incubatore formidabile in cui, grazie allo spettacolo, si realizza una straordinaria alchimia tra il luogo e il suo territorio, la creazione e la cittadinanza riunita, fra l’attore e lo spettatore», continua Gatti. Un luogo che fa la differenza. Dove i segni del passato accolgono e raccontano l’umanità di oggi. «Per questo le nostre opere non sono finalizzate a intrattenere consumatori culturali, fruitori temporanei, ma a rigenerare una comunità che si riconosce nel territorio e nella sua storia. Con Irene Papas ho fatto spettacoli in teatri di tutto il Mediterraneo. La domanda spesso è stata: perché ci piace farlo qui? Perché l’espressione dell’attore ma anche dello spettatore, avviene in uno spazio dedicato e assoluto. Si può essere non credenti, ma quando si entra nella navata di una chiesa, si percepisce la dedizione di quello spazio a uno status, si respira lo spirito di quel luogo. Lo stesso per i teatri: si avverte qualcosa che disegna prima che l’opera, lo spazio. Ancor di più se lo spazio è un teatro aperto, antico. Mi viene in mente una descrizione straordinaria: un teatro può avere per tetto un tendaggio di velluto o un cielo di stelle. Una questione di vocazione». E di alchimie, che da stasera si creeranno nella rete dei “Teatri di pietra”, a partire dall’anfiteatro di Sutri (con un programma fino al 6 agosto) e poi al Teatro Romano di Volterra (da domani al 9 agosto), al Chiostro S. Maria del Gesù di Modica (dal 18 luglio al 2 agosto), al Parco archeologico Lilibeo di Marsala (dal18 luglio all’8 settembre) e in attesa di conferma all’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere (dal 17 al 30 luglio), alla Basilica Bizantina di Palagonia (dal 10 al 30 luglio), a Eraclea Minoa (dall’1 al 26 agosto), al Parco Archeologico di Kaucana (Ragusa), dall’1 al 16 agosto, a Selinunte (dal 28 luglio all’8 settembre), all’Area Sol Invictus di Palazzolo Acreide (dal 28 luglio al 16 agosto) e in molti altri (info su www.teatridipietra.org). «Un calendario fitto di eventi che si sta chiudendo in forte ritardo per la complessa riorganizzazione degli spazi post pandemia. Con sofferte e inevitabili limitazioni – conclude Gatti – con un pubblico ridimensionato, con incassi ridotti e un aggravio di spesa. Ma bisogna assolutamente ricominciare». Il teatro deve fare il teatro. Tra le pietre. Non certo davanti a un pc, in streaming.