Dalla progettazione di edifici all’ideazione di oggetti del vivere quotidiano, questo è stato il vasto spettro d’azione di Ettore Sottsass, architetto designer e fotografo italianissimo nato a Innsbruck, da madre austriaca, il 14 settembre 1917 e scomparso a Milano il 31 dicembre 2007. Un vero e proprio figlio d’arte: infatti, per meglio identificarlo occorrerebbe far seguire al nome l’aggettivazione latina “junior”, visto che il padre, Ettore senior (Nave San Rocco 1892 – Torino 1953), era anch’egli un architetto di origini trentine con amicizie e legami viennesi, esponente dell’architettura razionalista durante il ventennio fascista e impegnato nella ricostruzione del dopoguerra, quando verso la seconda metà degli anni Quaranta firmava alcuni progetti insieme al figlio. Il quale si rabbuiava spesso con gli intervistatori nel sentirsi definire un artista, dato che si considerava un architetto: ma le classificazioni professionali e le categorie speculative, in cui far rientrare l’attività pratica di Ettore junior, risultano tutte parziali o fuorvianti, poiché un unico filo conduttore, in un continuum molteplice di configurazioni estetiche e pensieri interiori, collega gli edifici agli oggetti e ai vasi da lui disegnati.
È quanto emerso tra l’altro dalla rassegna Ettore Sottsass: il vetro, ospitata alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia fino al luglio scorso, focalizzata come punto di partenza ideale sulla produzione eseguita a Murano e presentata alla Biennale del ’48, per giungere infine alle mirabolanti opere realizzate negli anni ’80 con l’impiego di colla chimica, contravvenendo in questo modo alla secolare tradizione della lavorazione del vetro muranese. Un innovatore atipico, capace di «andare oltre» coniugando utilità e semplicità, il rigore degli aspetti funzionali alla duttilità geometrica delle forme, la visione poetica ed esistenziale all’infaticabile ricerca di una bellezza non soltanto di serie, malgrado le sirene della Pop art degli anni Sessanta.
Elementi caratterizzanti, questi, posti bene in evidenza nella retrospettiva Ettore Sottsass: Design Radical aperta fino all’8 ottobre al Met Breuer, l’edificio dalle grandi finestre strombate progettato da Marcel Breuer al centro di Manhattan e sede distaccata del Metropolitan Museum di New York. Un appuntamento di prestigio per celebrare il centenario della nascita e il decennale della scomparsa dell’architetto italiano, attraverso un percorso espositivo che sintetizza più di sessant’anni di storia del design internazionale contraddistinti dalla “rivoluzione” di Sottsass. In mostra gli esordi dei primi anni Cinquanta, allorché la cifra predominante nelle sue creazioni risultava ancora di derivazione razionalista; il successivo sovvertimento d’impostazione e la collaborazione nel 1958 con Adriano Olivetti, per il quale disegnò il calcolatore elettronico Elea o l’addizionatrice Summa.
Per meglio comprendere la portata dirompente di questo impegno, è sufficiente ricordare le linee essenziali della macchina da scrivere portatile Valentine, commercializzata sempre dalla Olivetti di Ivrea, perfettamente inglobata nel contenitore di plastica quadrangolare munito di maniglia. Iniziò inoltre il periodo del design intravisto quale strumento di critica alla società dei consumi, la cosiddetta stagione del “Radical” che sfociò nella costituzione nel 1981 del Gruppo Memphis, ispirato dalla canzone di Bob Dylan Stuck Inside of Mobile e che dominò lo scenario postmoderno di quegli anni con prodotti dai colori vistosi e un marcato richiamo geometrico.
Lo stile di Sottsass è sempre riconoscibile: nei mobili dalle forme pure, come la libreria Casablanca; negli edifici altrettanto rigorosi e fuori dal comune, come casa Cei a Empoli, la fermata degli autobus ad Hannover, il disegno complessivo dell’aeroporto milanese di Malpensa. Eppoi sedie, arredamenti, gioielli, posate e ogni sorta di utensile più o meno comune tradotto dall’acuta e geniale fantasia di Sottsass. Alcuni riferimenti biografici appaiono indispensabili per tracciare la personalità di questo designer controcorrente: l’adesione alla Repubblica sociale di Salò e il campo di prigionia in Jugoslavia, il rientro in Italia e la partecipazione a Milano nel 1948 alla prima collettiva del Movimento Arte Concreta, appena fondato da Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Gianni Monnet. Al contempo, Sottsass promuoveva a Roma un’altra collettiva dedicata all’arte astratta. Non è un caso se diverse sue creazioni, per esempio la libreria Carlton, si richiamano a moduli e combinazioni che si avvicinano all’astrazione, con volumi armonici, pieni e vuoti, segmenti cromatici alternati tra i diversi piani.
E c’è infine il Sottsass fotografo: «Da quando abbiamo cominciato a vivere insieme, quattro o cinque mesi dopo il nostro incontro nel giugno 1976, non ho quasi ricordo di Ettore senza macchina fotografica », commenta Barbara Radice nella biografia Perché morte non ci separi, da poco uscita per Mondadori Electa. Moglie di Ettore e figlia dell’indimenticabile pittore astrattista Mario Radice, Barbara ha composto un libro non di memorie, ma di vita raccontata attraverso aneddoti, conoscenze e viaggi, reali o mentali. La vita di un architetto che non si riteneva artista.