Ha fatto il bidello, il commesso in un negozio di vestiti, il fattorino in un giornale, ma soprattutto “il primo straniero”. Sì, perché Michel van De Korput, oggi un signore di 64 anni che si gode la pensione nelle campagne olandesi, nel 1980 fu il primo straniero a tornare a giocare nel calcio italiano, alla riapertura delle frontiere. Giusto 40 anni fa, infatti, dopo 15 di interruzione causati dalla figuraccia con la “fatal Corea”, venne di nuovo concesso ai club italiani di prendere uno straniero in squadra, uno solo e limitatamente alla Serie A. E quindi, anche se di stranieri in passato ne erano già arrivati, nell’immaginario collettivo dei patiti di calcio, l’apertura delle frontiere è associata a quel campionato 1980/81. E il primo contratto lo depositò il Torino, acquistando per l’appunto Van De Korput dal Feyenoord, pagandolo 670 milioni delle vecchie lire (le cronache dell’epoca raccontano di una trattativa portata avanti dal suocero di Johann Cruijff), con un ingaggio di 130 milioni l’anno per quello che venne definito l’erede di Krol. A proposito di Ruud Krol, l’asso della nazionale orange approdò invece al Napoli, con il club partenopeo che lo convinse a lasciare il Canada, dove aveva deciso di giocare dopo aver vinto tanto in 12 stagioni all’Ajax. All’ombra del Vesuvio rimase tre stagioni, lasciando per alcuni infortuni.
Qualche chilometro più in là, ad Avellino, sbarcò invece Jorge dos Santos Filho, molto più semplicemente Juary. Fisico mingherlino, 21 anni, lo volle l’allora patron irpino Antonio Sibillia e il ragazzo brasiliano ricambiò con tre stagioni di ottimo livello e i gol festeggiati attorno alla bandierina del calcio d’angolo, un rito che ripeté anche nelle successive stagioni tra Inter, Ascoli e Cremonese. Grandi colpi di mercato furono indubbiamente quelli di Roma e Juventus. In giallorosso arrivò Paulo Roberto Falcao, poi incoronato dai tifosi come “l’ottavo re di Roma”. Anche qui facciamo ricorso alle curiose cronache sportive dell’epoca, che vogliono la segnalazione di quel riccioluto brasiliano fatta dal giornalista Ezio De Cesari. Però l’Internacional di Porto Alegre, club di Falcao, per quel ragazzo voleva 1 milione e mezzo di dollari, e subito. Dino Viola, allora patron della Roma, quei soldi non li aveva disponibili e chiese aiuto a Vasco Farolfi, presidente del Montevarchi, ricambiando la cortesia con un’amichevole giocata dai giallorossi proprio contro la squadra toscana, allora in C. La Juventus invece puntò su Liam Brady, irlandese di 24 anni che mise subito a posto il centrocampo bianconero, vincendo due scudetti di fila e proseguendo la sua esperienza italiana con Sampdoria e Ascoli.
Anche l’Inter spese il suo primo bonus straniero su un centrocampista, l’austriaco Herbert Prohaska, passato poi alla Roma. Un altro buon colpo lo mise a segno la Fiorentina, con Daniel Bertoni, attaccante che con la sua Argentina due anni prima aveva vinto il Mondiale. A Udine approdò il tedesco Herbert Neumann: una stagione senza infamia e senza lode, come la successiva a Bologna. Nella categoria dei “bidoni” sono invece entrati da allora l’attaccante argentino Sergio Fortunato (Perugia) e Luis Silvio (brasiliano della Pistoiese), mentre in tanti ricordano anche il povero Eneas, attaccante carioca che pianse dopo aver visto per la prima volta la neve venire giù a Bologna, città dove giocava, morto a 34 anni per un incidente stradale. In quel campionato, con la serie A allora a 16 squadre, decisero invece di non prendere lo straniero Ascoli, Brescia, Cagliari, Catanzaro, Como e Udinese. Alcune di queste avrebbero cercato di rifarsi già nella stagione successiva. Ad Ascoli, ad esempio, arrivò dalla Costa d’Avorio, Francois Zahoui il primo giocatore africano a esordire in serie A e soprannominato “zigulì”; a Como approdò invece il terzino austriaco Mirnegg e a Catanzaro il rumeno Viorel Nastase: tutti e tre finiti nella poco gradevole classifica di “bidoni” conclamati, con la leadership che da 40 anni resta più o meno indissolubilmente tra i piedi di Luis Silvio, preso dalla Pistoiese nel primo e storico campionato in A dei toscani e circondato da miti, leggende e qualche verità: in Brasile non lo conosceva nessuno e forse laggiù faceva il cameriere, tanto che il buon Lido Vieri lo provò in alcune partite, salvo spedirlo poi prima in tribuna e poi a casa.
Assai diversa la storia con gli stranieri imbastita dall’Udinese: già detto di Neumann, l’anno dopo arrivò il brasiliano Orlando, poi morto ancora giovane per i postumi di una caduta, ma il vero colpo lo piazzò nella stagione 1983 1984, assicurandosi Arthur Antunes Coimbra, per tutti più semplicemente Zico: preso dal Flamengo per 8 miliardi delle lire di allora, il primo anno venne preceduto solo da Platini nella classifica cannonieri, ma l’anno dopo si infortunò seriamente e tornò in patria. Da allora, l’Udinese è stato il club italiano più… straniero in assoluto e anche in questo campionato solo 5 tesserati dai friulani sono italiani. Un campionato, quello attuale, che alla prima giornata contava 320 stranieri, rispetto ai 304 dell’anno precedente, con 122 nuovi acquisti dall’estero, facendo scendere la quota degli italiani dal 45% al 41% dei tesserati totali. Dalla finestra di gennaio ne sono arrivati altri 27, tra ritorni (Ibrahimovic su tutti), campioni senza bisogno di tante presentazioni, a cominciare dal trio interista Eriksen-Moses-Young, e calciatori che definire scommesse è dir poco, come Haraslin e Goze Dutra al Sassuolo, Sutalo e Tamezé all’Atalanta. Altri si sono spostati sul mercato interno, così come dei pezzi da 90 hanno lasciato l’Italia per cercare nuovi stimoli o ingaggi (Suso e Piatek dal Milan, Emre Can dalla Juve), ma ce ne sono pure di quelli andati via senza lasciare grosse tracce, con la Fiorentina che si aggiudica questa singolare classifica, con i vari Rasmussen, Cristoforo, Pedro, Montiel.