14 maggio 2000: Perugia-Juventus 1-0, Alessandro Calori esulta dopo il gol vittoria abbracciato da Nicola Amoruso - ANSA
«Qualcosa di simile a Dio si è mosso per i cieli di Perugia…», così scriveva quasi mistico, il 15 maggio 2000 dalle colonne della “Repubblica”, lo scriba massimo di sport, e non solo, Gianni Mura. Sotto il cielo carico di pioggia del capoluogo umbro quel pomeriggio si era consumata la disfatta juventina per mano, anzi per zampata, del centrale difensivo dei grifoni Alessandro Calori. E per riaccendere i riflettori su uno di quei piccoli eroi esemplari del calcio di inizio terzo millennio c’è voluto un libro, meglio una distopia calcistica del bracconiere di storie di cuoio Paolo Ortelli che ha appena pubblicato 1-0 Calori. Perugia-Juventus, apoteosi del calcio italiano (Milieu).
Il libro di Paolo Ortelli, "1-0 Calori" ci fa incontrare un piccolo eroe esemplare del calcio
L’1-0 è il risultato finale di Perugia-Juventus del 14 maggio 2000: ultima giornata di campionato, vittoria storica della provinciale terribile del vulcanico presidente Luciano Gaucci, allenatada Carletto Mazzone, contro la Vecchia Signora del football italico, la Juventus delle stelle mondiali (Zidane, Del Piero, Pippo Inzaghi…) guidata dallo sfortunato, allora, Carletto Ancelotti. La fatal Perugia e quel gol di Calori, al 49’, strappò dalle maglie bianconere uno scudetto già praticamente vinto, consegnandolo alla Lazio del presidente Sergio Cragnotti e a quel gentiluomo della panchina qual è stato Sven Goran Eriksson. Da quel giorno nella storia del calcio Alessandro Calori è entrato di diritto nella categoria dei “giustizieri”. Ruolo da cui si smarca il 58enne allenatore aretino ora che è «in attesa di squadra, di una prima squadra, perché l’ultima esperienza con i ragazzi della Primavera della Lazio è stata una parentesi», spiega Calori che nell’attesa fa il Cincinnato e si gode l’otium «privilegiato » della raccolta delle olive nel podere del suo paese, Lucignano. Perché esistono anche altri campi oltre quelli di calcio, e pomeriggi di letture e di scrittura, come dimostrano i due libri pubblicati da Calori: «Il capitano racconta lo scrissi come dono ai miei compagni di squadra quando ero il capitano dell’Udinese e arrivammo al 3° posto, un traguardo storico che non era riuscito neppure ai tempi di Zico. Il secondo, L’arte del calcio è il libro della maturità, quello della mia seconda vita da allenatore e dentro ci sono i disegni di Aldo Dolcetti, ex fantasista dal mancino magico che giocava con me ai tempi del Pisa di Romeo Anconetani».
Quella "maledetta" domenica per la Juve a Perugia... "I laziali ancora mi ringraziano per il loro scudetto"
Dolcetti rimanda alla Juventus, era cresciuto nelle giovanili bianconere e dal 2014 al 2019 è stato collaboratore tecnico di Max Allegri portando cinque scudetti nella bacheca della Vecchia Signora. Ma il tricolore mancante nel Museo dell’Allianz Stadium di Torino è proprio quello annegato nella “piscina” del Curi quasi un quarto di secolo fa. E la narrazione spetta al “Rain Man” del Perugia. «Fu una domenica incredibile, irreale. Non era mai successo di stare 1 ora a un quarto fermi in attesa di riprendere il gioco. Prima c’era il sole, poi dieci minuti di pioggia mai vista e quel campo considerato il migliore d’Italia per drenaggio si riempì come una vasca». I calciatori di Perugia e Juve per volontà dell’arbitro Luigi Collina ripresero il gioco e al minuto 49 arrivò la doccia gelata. «Facemmo un tiro e mezzo, contro le 2030 conclusioni della Juventus, ma tanto bastò. Mazzantini parava tutto, loro sbagliarono l’impossibile e io resi possibile il sogno scudetto della Lazio. Ancora oggi i laziali mi ringraziano, un tifoso un giorno mi ha detto: “Aho Calo’ a casa mia un piatto de pasta per te ce sarà sempre». All’Olimpico quel giorno fu l’apoteosi biancoazzurra con “Bisteccone” Galeazzi, laziale doc, che abbandonò la postazione Rai del Foro Italico, mentre era in corso la finale degli Internazionali d’Italia, per andare a intervistare ed abbracciare i suoi eroi del 2° scudetto. Cose mai viste. Nel Paese dei sospetti il giorno dopo l’impresa del Perugia che aveva regalato una gioia inimmaginabile all’altrà metà d’Italia antijuventina si scatenò l’inferno. «Ne hanno dette e scritte di tutti i colori. Collina era laziale? Lo ha confessato quando ormai era un ex arbitro, ma quel giorno tranne il diluvio non ci fu nulla di irregolare. Io poi, sportivamente parlando ero anche un po’ dispiaciuto... Sono nato juventino e cresciuto con il mito di Gaetano Scirea, volevo diventare libero in campo e anche nella vita, e ho cercato in tutte le maniere di seguire il suo esempio di leader silenzioso che parlava con i gesti e non con le parole».
"Ho dovuto difendermi dal fango delle menzogne, ma la mia carriera parla solo di passione e trasparenza"
Un “hombre vertical” Calori che arrivò al Perugia lasciando, con una certa amarezza, dopo 8 anni memorabili all’Udinese della famiglia Pozzo dove da capitano di lungo corso e difensore esperto aveva dovuto difendersi anche dalle accuse infondate di doping e presunte combine. «”Famiglia Cristiana” pubblicò una lettera di un anonimo che denunciava partite truccate e si firmava “il Pentito” e iniziarono a tirare in ballo il mio nome. Sono andato a parlare in redazione con il direttore di allora (don Antonio Sciortino) e poi ho dovuto querelare non so quanti giornalisti e testate che avevano fatta la stessa cosa dandomi del dopato per un controllo antidoping in cui si diceva che c’ero sempre di mezzo io. Sono cose che mi hanno fatto molto male, ho pianto e perso il sonno per mesi. È inaccettabile venire infangati quando la tua professionalità e la tua passione sono pure e trasparenti».
"Carletto Mazzone, un maestro di vita e di campo. Che stagioni a Brescia con Roby Baggio e Pep Guardiola!"
Parole di un uomo e di un padre di famiglia che una volta appesi gli scarpini è diventato un mister saggio e paterno seguendo la lezione del suo indimenticabile maestro di campo e di vita, Carletto Mazzone. «A Perugia c’ero andato per lui e poi l’anno dopo quel Perugia-Juventus l’ho seguito ad occhi chiusi al Brescia. Carletto era un padre al quale non potevi non voler bene. Un uomo che ti diceva sempre in faccia quello che pensava. Aneddoti? Ci vorrebbe un altro libro, però quando ripenso a lui rivedo una scena divertente di una trasferta a Lecce: scendiamo dal pullman io dietro di lui, gli ultimi, e vedo che tentenna ma poi salta giù dallo scalino su una gamba sola. Rimango stupito e gli chiedo ridendo: Mister ma che fai? Lui si volta e con quel ghigno mazzoniano risponde: “Aho, a Calo’, ma tu l’affaracci tua non te li fai mai?”. Questo era Mazzone». Orgoglio e dignità dell’allenatore che quando i bergamaschi nel derby Brescia Atalanta del 2001 gli insultano la mamma corse sotto la Curva a sbertucciarli dopo il gol del 3-3. «Altra partita da storia del calcio quanto quella del Curi. Tra l’altro ci misi lo zampino, anzi la spizzata di testa, anche nel gol del pareggio, ma poi i tabellini l’hanno assegnato a Roberto Baggio. Comunque quella corsa di Mazzone è una scena da film. Vedevi quella montagna di uomo che passando buttava giù tutti come dei birilli per andava a prendersi la sua rivincita personale. Una scena che ricorderemo tutti, per sempre». Un fermo immagine impresso ancora anche nella memoria del più grande allenatore in circolazione, Pep Guardiola, che quel giorno era in tribuna ma fu protagonista di quel Brescia assieme all’altra stella luminosa di Roby Baggio. «Pep si capiva che era portato per fare il mestiere di tecnico. Aveva un bagaglio di idee tattiche importanti inculcategli da Crujff al Barcellona, ma l’esperienza con Mazzone gli è sicuramente servita a completarsi e come me gli è estremamente riconoscente. Roby Baggio? Un leader silenzioso, come Scirea. Non dimenticherò mai quando dopo ogni partita tornava in panchina e lo vedevi che quasi in lacrime si massaggiava le ginocchia martoriate dagli infortuni e da quelle operazioni subite da ragazzo… Roby era il più forte di tutti, non aveva più un pezzo di cartilagine, ma la sua passione per il calcio era più forte del dolore. Un esempioda trasmettere a chi comincia ora a giocare a calcio».
"L'altro 1-0 della mia vita lo realizzai da mister del Portogruaro al Bentegodi: noi in B davanti a 30mila tifosi dell'Hellas"
Lezione arrivata ai suoi ragazzi del Portogruaro che sempre un giorno di maggio, il 9, del 2010, hanno permesso a mister Calori di recitare ancora il ruolo di “giustiziere”. Quella domenica la vittima sacrificale era l’Hellas Verona, che davanti ai 30mila del Bentegodi già pronti a far festa, si arrese al suo Portogruar che conquistava una storica promozione in B. Un altro 0-1 e il giustiziere in campo fu il bomber Riccardo Bocalon (35enne che ancora segna nel Renate). «Incredibile, il gol di Bocalon arrivò al 90’. Ricordo il Bentegodi mesto e silenzioso ma alla fine i tifosi veronesi mi hanno applaudito perché avevano capito che avevamo fatto qualcosa di straordinario e per quanto mi riguarda forse irripetibile». Non c’è due senza tre e quindi ora Calori alla prossima chiamata di qualche società è pronto a compiere l’ennesima impresa, consapevole che nel calcio il carpe diem è una legge non scritta che con il tempo imparano a conoscere tutti, vincitori e vinti. «Ai ragazzi che ho allenato e che allenerò io ripeto sempre: ricordatevi, fino a che indossate la maglietta con il numero e il nome stampato sulla schiena allora tutti vi cercheranno e vi vorranno bene, ma quando quella maglia la riporrete nel cassetto, sappiate che un attimo dopo si abbasserà il sipario e lo spettacolo finirà lì. L’adrenalina che vi davano quelle emozioni vissute su un campo davanti a 60 70mila spettatori dovrete cercarle altrove e dovrete impegnarvi il doppio di quando giocavate perché altrimenti questa è una società che prima vi abbandonerà e poi si dimenticherà di voi. La vita è molto più difficile che battere 1-0 la Juventus, ma ha lo stesso fascino del calcio, in cui non sempre vince il più forte».