giovedì 6 febbraio 2014
Dopo settimane di polemiche, venerdì la cerimonia d’apertura dei XXII Giochi invernali Azzurri in tono minore.
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Domani nel braciere olimpico s’inceneriranno – si spera – le tante polemiche che sono ruotate attorno a questi XXII Giochi olimpici invernali, e si inizierà a parlare di sport. Cioè di quello che lo Olimpiadi sono, o dovrebbero essere. Certo, nemmeno lo sport vive sulla luna, e pretendere che resti immune a ogni considerazione politica sarebbe illusorio. Il nesso con la legislazione russa in tema di omosessualità, che si è accaparrata gran parte del circo mediatico pre-olimpico, resta comunque labile: ma è prassi che alla visibilità di un evento si cerchi di legare ogni istanza. Ci hanno provato anche i circassi, etnia caucasica che proprio nelle terre oggi olimpiche fu massacrata centocinquant’anni fa. D’altra parte lo stesso Putin, scegliendo la città di Soci (o Sochi, per scriverla all’inglese com’è abitudine nella comunicazione internazionale a tutto a svantaggio del lettore italiano, indotto a pronunciare “soki”), l’ha buttata in politica: un’affermazione della centralità del turbolento Caucaso per l’impero di Mosca, contro le tante spinte centrifughe che cova.Ritorno allo sport, allora. Che a Soci/Sochi registra un vuoto generazionale: c’è una pattuglia di giovanissimi emergenti, da un lato; e un drappello di vecchi leoni ancora sulla cresta dell’onda, dall’altro. Manca in certo senso l’età di mezzo, quella che abitualmente coincide con l’apogeo delle carriere agonistiche. Esempio plastico, l’Italia dello slittino: Zöggeler e Fischnaller, il quarantenne campione già carico d’allori – che domani porterà il Tricolore nella cerimonia d’apertura – e il ventunenne rampante che aspira a divenirne l’erede. Non sono un caso isolato. Janne Ahonen (trentasettenne, debutto: Lillehammer 1994) e Noriaki Kasai (quarantunenne, debutto: Albertville 1992) salteranno dal trampolino RusSki Gorki accanto a ragazzine come Sara Takanashi (classe 1996, già dominatrice delle ultime due stagioni di Coppa) e Gianina Ernst (classe 1998). 1998, l’anno dei Giochi di Nagano in cui debuttò un campione dello sci alpino come Bode Miller, ora tornato alle gare dopo un anno sabbatico e già ai massimi livelli: sulla pista Roza Chutor di Krasnaja Poljana se la vedrà con campioncini come Alexis Pinturault (1991) e Henrik Kristoffersen (1994) e d’altra parte in squadra si ritrova Mikaela Shiffrin, che a diciott’anni già ha vinto una Coppa del Mondo e da un oro iridato. La Norvegia porta sul Caucaso il monumento Ole Einar Bjørndalen, quarantenne ma ancora da medaglia; l’Italia, Giorgio Di Centa, a quarantun anni. Anche perché non abbiamo di meglio. La stagione va così: gli azzurri – si fa per dire: da inizio stagione sfoggiano sinistre tute nere – sono in un’annata no. Almeno fino a questo momento: a tener desta la fiammella resta la consapevolezza che le Olimpiadi fanno storia a sé. Nella gara secca gli equilibri emersi nel corso della stagione posso essere sovvertiti da mille variabili: un meteo anomalo, un diverso adattamento a campi di gara dove solitamente non si compete, un picco di forma fisica. Fa fede l’unico olimpionico in carica che l’Italia porta in Russia: Razzoli, slalomista atipico – adatto a pendii poco accentuati e a nevi morbide, l’opposto della nostra tradizione nella specialità – che a Vancouver 2010 si era presentato con appena una vittoria alle spalle. Nello sci alpino, in controtendenza rispetto alla nostra storia, le maggiori speranze quest’anno si appuntano sui discesisti. Paris, Fill, Innerhofer hanno le carte in regola per puntare a una medaglia, anche se appaiono tutti sotto tono rispetto alla buona stagione scorsa. In slalom più di Razzoli è in forma Thaler, mentre Moelgg è competitivo pure in gigante. Anche in campo femminile è lecito sperare più nella velocità (con le sorelle Fanchini e la Merighetti) che nelle prove tecniche, dove la Brignone è ancora in fase post-infortunio e la Karbon è ormai a fine carriera. Una medaglia dall’alpino sarebbe comunque una sorpresa, visto che in Coppa del Mondo i podi azzurri sono stati appena otto su quasi centocinquanta (una sola vittoria, di Paris, a novembre).Né più roseo è il quadro dello sci nordico. Se il salto non è mai stato nelle nostre corde, anche il fondo – tradizionale serbatoio di medaglie, dall’indimenticata vittoria nella staffetta sui norvegesi a casa loro nel 1994 all’oro di Di Centa nella granfondo del 2006 – si riduce sostanzialmente a due nomi, Federico Pellegrino e Gaia Vuerich, con gli altalenanti Clara e David Hofer, i giovani di buona prospettiva Pellegrin e De Martin Tropanin e i veterani Di Centa e Pasini. Meglio, sempre nel nordico, la sezione biathlon, con Lukas Hofer e le ragazze della staffetta. Nella combinata l’atleta di punta è ancora Pittin, in ribasso anche se nella sprint a squadre con Costa si può permettere qualche speranza. Brilla lo slittino: Zöggeler e Fischnaller sono nomi da medaglia, anche se per l’oro il favoritissimo è il tedesco Loch. Ma saranno da seguire anche le gare di doppio (maschile) e a squadre (misto). Poco o nulla, invece, c’è da aspettarsi dalle altre due discipline da pista, bob (un tempo nostro fiore all’occhiello) e skeleton.Qualche luce s’accende nei palazzetti del ghiaccio. Non negli sport di squadra (non si sono qualificate né le nazionali di hockey né quelle di curling), ma nel pattinaggio, sia artistico sia di velocità. Arianna Fontana è stata l’unica capace di interferire, in Coppa del Mondo di short track, con il dominio di cinesi e coreane; nell’artistico, se Carolina Kostner non pare in grado di tener testa alle ragazzine – ancora... – russe come la Lipnickaja (che l’ha battuta agli ultimi Europei, a quindici anni), è lecito sperare nella coppia della danza, Cappellini-Lanotte. Loro almeno gli Europei li hanno vinti.
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