martedì 12 ottobre 2010
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Interminabili giornate di coda per acquistare un libro diverso dal Capitale di Marx o da altri testi di catechesi bolscevica. Per un lettore che abbia oggi meno di trent’anni, e non abbia visto, almeno in televisione, le file di moscoviti davanti ai negozi di Stato, per comprare la carne o il caffè, è difficile credere che nei Paesi del cosiddetto socialismo reale anche la cultura, bene del popolo per eccellenza, fosse una merce rara tale da essere conquistata soltanto al prezzo di immani sacrifici.Un documento straordinario e inedito, uno scambio di lettere tra il grande scrittore Georges Simenon e il suo agente russo, spiega meglio di ogni altra cosa quanto odioso fosse il sistema sovietico per un cittadino che non appartenesse alla nomenklatura di partito. Il breve carteggio, intercorso nell’agosto- settembre del 1983, ossia sei anni prima della caduta del Muro di Berlino che fece implodere in Europa le tirannidi dell’Est, è in possesso del più grande collezionista al mondo dell’opera di Simenon, l’uomo d’affari genovese Romolo Ansaldi.L’agente letterario che rappresentava gli interessi editoriali dello scrittore, tra i più tradotti al mondo, era monsieur Glasov, con studio al numero 18 di Prospettiva Tichkoretsky, a Leningrado. Mentre il sistema sovietico era in uno stato preagonico – nell’inesorabile processo di mummificazione del regime, durante il breve passaggio da Breznev a Cernenko –, nell’attuale San Pietroburgo, la città che fu culla della rivoluzione d’Ottobre, tutto stava collassando. Glasov così scrive a Simenon: «A titolo di curiosità, vi segnalo che acquistare le edizioni russe dei suoi libri è praticamente impossibile (si deve pagare 5-6 volte il prezzo dagli speculatori)».La lunga e dettagliata lettera dell’agente a Leningrado documenta quanto scandaloso fosse il calvario imposto ai lettori di testi la cui diffusione, ancorché formalmente non vietata, era tuttavia scoraggiata dallo Stato comunista. Così il dottor Glasov illustra la penosa sorte riservata agli estimatori di Simenon e del suo personaggio, il commissario parigino Jules Maigret: «Bisogna mettersi in coda un determinato giorno per iscriversi con il proprio numero d’ordine, assicurare la propria presenza per più giorni per dimostrare che non si è rinunciato e poi, un sabato, rifare la coda per 11-14 ore con venti chili di vecchi libri per ottenere un abbonamento che dà il diritto di acquistare un suo libro (o quello di un altro autore alla moda)». Avete capito bene, non è uno scherzo, né un saggio di propaganda antisovietica d’altri tempi. Per poter comprare un romanzo di Simenon, nell’Unione Sovietica della dittatura del proletariato, il compagno Ivan doveva versare allo Stato, a titolo di obolo, venti chili di ciarpame marx-engelsiano. Una vera e propria permuta: in cambio una storia di Maigret, il povero cristo doveva svuotare soffitta e cantina, riempire il baule della scassatissima Zaz (sempre che ce l’avesse), recarsi al più vicino spaccio di libri statale, sorbirsi ore di coda per ritirare la sua tessera; l’indomani, e altri giorni seguenti, tornare sul posto per dimostrare che non si è cambiata idea; poi, il sabato, giorno di distribuzione dei volumi, stare in fila dall’alba al tramonto, con thermos e vodka per non restare congelati, nella speranza di ottenere una copia forse neppure nuova di zecca. A meno che, naturalmente, uno non volesse rivolgersi al mercato nero dove, come informa lo stesso agente di Leningrado, era possibile recepire l’agognato libro a 5-6 volte il suo prezzo. Una follia, per chi – ed era la norma – faticava a racimolare qualche spicciolo per andare a pattinare allo stadio del ghiaccio. Così, pochi "eroi" della cultura – gli strati sociali rimasti criticamente più attivi – erano votati ad affrontare il calvario. Ecco la conclusione di Glasov: «La gente diventa pazza per acquistare dei libri e crearsi una propria biblioteca, ed è capace di trascorrere la notte in coda per ottenere l’abbonamento che dà diritto a comprare il libro agognato».Nell’era dei bookstore, e degli scempi di intere librerie che, a disdoro degli eredi di tanti cari estinti, finiscono pressappoco in discarica, tutto questo sembra davvero incredibile. Illuminante è, del resto, la risposta dell’ottantenne Simenon, parimenti inedita, datata 30 settembre 1983: «Caro monsieur Glasov, sono rimasto molto colpito dalla sua lettera. Sono desolato di dover apprendere che è così difficile procurarsi i miei libri nel suo Paese, ma comprendo». Poi, il soprassalto di orgoglio del grande scrittore, felice di poter sottolineare che i suoi lettori sovietici appartenevano a un’élite temprata ai più duri sacrifici: «I miei lettori russi sono dunque i più coraggiosi». Ma nella missiva dell’agente letterario vi è dell’altro. Il dottor Glasov («dato l’interesse che dimostrate per la diffusione delle sue opere nell’Urss») informa il papà di Maigret che, ad onta del brutale trattamento riservato ai lettori di opere "non raccomandate" dal regime, i suoi libri erano stampati in molte copie. Una raccolta di racconti del "ciclo americano" di Simenon, come Luci nella notte, La pallina nera, Maigret a New York e Maigret dal giudice, aveva avuto una tiratura di centomila copie, mentre un’edizione scolastica del romanzo breve Maigret dal ministro, era stata stampata in quarantamila esemplari. Ma il successo commerciale, nella sterminata platea dei lettori russi, fu per Simenon soltanto postumo. Il grande scrittore di origine belga si spense infatti il 4 settembre del fatale 1989. Ma, quei pochi, tenaci che avevano sfidato l’ostracismo dei regimi rossi, proprio grazie a quelle letture "occidentali", erano stati probabilmente le avanguardie del processo di abbattimento della dittatura. Tra i calcinacci del Muro di Berlino, insomma, si agitò l’ombra di un picconatore illustre quanto occulto: il commissario Maigret.
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