Una commedia fiabesca per cantare un inno ai valori perduti, alla ricerca di un nuovo modo per divertire ed emozionare. Alla sua seconda prova da regista, Alessandro Siani, re del botteghino con
Il principe abusivo ma anche con le commedie dirette da Luca Miniero,
Benvenuti al Nord e
Benvenuti al Sud, spinge sul pedale della favola e tra Sant’Agata de’ Goti e la Costiera Amalfitana costruisce un piccolo mondo antico fermo agli anni Cinquanta, vicino a De Sica e al cinema neorealista, intrecciato però con il fantasy che rievoca il cinema di intrattenimento americano, ma anche cartoni animati come
Cenerentola. Si accettano miracoli, prodotto da Cattleya, presentato in anteprima – con tanto di gremito tappeto rosso da fare invidia a George Clooney – in ben undici sale del multisala di Afragola vicino Napoli e in arrivo domani in tutta Italia distribuito da Rai Cinema, racconta la storia di un “tagliatore di teste” che, dopo essere stato licenziato dalla propria azienda e aver reagito malamente alla cacciata, viene affidato alla custodia di suo fratello Germano (Fabio De Luigi), parroco di un paesino del Sud Italia dove vivono anche la sorella Adele (Serena Autieri) e il cognato Vittorio (Giovanni Esposito). I tre non si vedono da dieci anni, ma l’arrivo di Fulvio getta lo scompiglio, e non solo in famiglia. Deciso a portare un po’ di vita nel sonnolento paesino popolato da “piccole canaglie” che sembrano uscite da un film di Hal Roach e a salvare la povera chiesetta che avrebbe bisogno di un urgente restauro, l’ex manager finge un miracolo e la statua di San Tommaso, veneratissima dalla popolazione locale, diventa oggetto di interesse nazionale. Arrivano subito sponsor e bancarelle, fioccano affari e finanziamenti, con grande disappunto di don Germano che non approva quello sciagurato marketing del sacro. La bugia detta a fin di bene procurerà gioia e prosperità, ma anche una lunga serie di guai ed equivoci, che culmineranno con l’arrivo degli ispettori del Vaticano. «L’idea di partenza nasce dall’espressione molto usata dalle persone in questo momento, “ci vorrebbe un miracolo” – ci ha raccontato Siani, che abbiamo incontrato all’Hotel Vesuvio di Napoli –: una frase dove si mescolano sacro e profano, proprio come nel film. Da una parte la condanna della speculazione e della mercificazione del sacro, dall’altra un grandissimo rispetto per la gente che ha bisogno di credere e sperare e vive con il cuore puro la religione. Quando le cose vanno male non ci resta che alzare gli occhi al cielo. Nel film ho cercato di mantenere un atteggiamento di distacco nei confronti del tema della spiritualità, ma personalmente mi dà molto conforto l’idea di poter pregare e che lassù ci sia qualcuno a cui affidarsi». Interpretato da Fabio De Luigi, il personaggio di don Germano è l’asse intorno al quale ruota tutta la vicenda. Lui resta con i piedi per terra, non si lascia mai coinvolgere dal business che ruota intorno alla statua del santo, dalla quale improvvisamente cominciano sgorgare lacrime. «De Luigi era l’unico attore capace di dare grande umanità a questa figura che, come don Camillo, parla con la statua, si confida, si confessa. Non ho pensato a un personaggio in particolare, mi sono piuttosto ispirato a una sensazione popolare. Le parole di papa Francesco mi hanno fatto molto riflettere sulle difficoltà, le paure, i dubbi, le sfide che attendono oggi i religiosi e il personaggio di don Germano si è progressivamente sviluppato sulla base delle parole del Santo Padre». Le cose non andranno come la comunità sperava, l’inganno viene a galla e l’amore di Fulvio per Chiara, una bella e dolce ragazza non vedente (interpretata dalla brava Ana Caterina Morariu, molto credibile in un ruolo potenzialmente ricco di trappole) che gli insegnerà a guardare le cose con altri occhi, lo spingerà alla confessione più difficile della sua vita. Eppure qualcosa succede quando tutto il paese si riscopre unito e tre fratelli tornano ad amarsi come da bambini. «Tutto accade grazie a un incidente, che sembra proprio un gesto arrivato dall’alto per proteggere quella comunità di fedeli. Avevo in mente questo film da molto tempo. Quando lavoro a teatro sono più attento all’attualità, i giornali sono grande fonte di ispirazione, ma quando faccio cinema mi piace raccontare storie senza tempo, lontane dalle mode del momento. Senza volgarità e facili battutacce, come mi hanno insegnato Eduardo, Totò e Massimo Troisi, ai quali mi ispiro da sempre. Volevo raccontare un paese che vive rispettando ancora i valori di un tempo, come la credibilità, l’onestà, la fiducia nei rapporti umani e anche la voglia di farsi guidare da un prete che ti spinge a confidare in Dio. Roberto Benigni ha parlato in tv dei Dieci Comandamenti in un momento in cui ce n’è particolarmente bisogno. Può essere molto divertente per un comico dissacrare i valori, polverizzarsi con una battuta, ma non è proprio il caso di farlo oggi. Per superare questo momento difficile non ci resta che ricordare da dove veniamo e ripartire da lì».