S’io fossi cinese, tifoso del-l’Inter “abbandonata” o del Milan “all’asta”, sarei piuttosto seccato. E a quelli che accusano il giovine Zhang di spendere più per la lussuosa auto personale che al mercato dei piedi, o si scandalizzano per i debiti di Mister Li, farei un discorsino moderato ma deciso: «Noi (cinesi) abbiamo già speso un paio di miliardi per le vostre amatissime squadre, voi cosa ci avete dato in cambio?». E aggiungerei una domanda ai miei connazionali (cinesi) di Orient Hontai che si sono comprati Mediapro e i diritti televisivi del campionato italiano: «Siete sicuri di aver speso bene il miliardo negato da Sky e Premium? Non vi siete accorti che il campionato italiano è una bufala?».
Ebbene: da italiano appassionato e esperto di calcio mi schiero dalla parte dei cinesi che non sono avidi conquistatori come li descrivono molti critici; questi somigliano a quei populisti meneghini che si lamentavano della progressiva cinesizzazione di via Paolo Sarpi e dintorni - oggi brillante Chinatown - che non se la se la sono comprata, gli invadenti figli d’Oriente: gliel’hanno venduta, casa su casa, muro su muro. Il mio antico cappellaio (lí dal 1914) il negozio se l’è tenuto mentre tutt’intorno sembra d’essere a Shangai, a Pechino, a Canton, dove, guarda un po’, non fai un passo senza imbatterti in Armani, Dolce e Gabbana e altri imprenditori milanesi che si sono fatti i negozi più belli della Cina.
Perché non confessiamo di averli bidonati ammollandogli un torneo che si stanno giocando Napoli e Juve, e nemmeno divertono, visto che la partita più bella del week end è stata Benevento-Crotone? Allegri non è senza peccato, visto che la sua Juve, pur vincente, somiglia alla Signora soprattutto nel carattere, perché gioca maluccio in Italia e in Champions, rincorre “cinicamente” il settimo scudetto mentre il popolo bianconero chiede l’Europa; e tuttavia, stanco delle lamentazioni di Sarri, gli ha sparato una verità fastidiosa: «Io mi batto in Coppa Italia, in Champions e in campionato mentre tu, praticamente libero da altri impegni, sei ossessionato dallo scudetto». Sembra velenoso, Allegri, ma non lo è, perché altrimenti gli avrebbe elencato tutti i giocatori che gli sono mancati in queste settimane: Matuidi, Mandzukic, Dybala, Lichtsteiner, Barzagli, Höwedes, Cuadrado, alcuni in via di recupero mentre preoccupano le condizioni di Higuaín e Bernardeschi, a fronte della buona salute (corna bicorna...) dei Titolarissimi napoletani.
Non si lamenta, Allegri, e anzi si dice “divertito” della suspence che l’attanaglia. Un po’ smargiasso, naturalmente, come uno che ha vinto quattro scudetti, due Supercoppa Italiana, tre Coppa Italia e incassa - nel Paese che ancora onora il Triplete di Mourinho - tre Doblete consecutivi con la Juve (scudetto e Coppa Italia). Contro niente. Niente. Si fa per dire. Maurizio Sarri è ben più del suo curriculum. È l’Innovatore Unico che da quand’è a Napoli ha traformato il peregrino calcio nostrano in spettacolo, imponendo le sue mani (e idee) magiche a un gruppo di calciatori che hanno compreso al volo il suo verbo e si sono lasciati manipolare fino a raggiungere una grandezza spettacolare. Dico di Mertens, Insigne, Jorginho, Hysaj, Callejon, Allan, Koulibaly e il nuovo Hamsik. Ha dato ascolto,purtroppo, Sarri, alle sirene napoletane che gli chiedevano scudetto e nulla più (qualcuno sostiene che le abbia ammaestrate lui) buttando Champions e Coppa Italia. Incassò orgoglioso i complimenti di Guardiola, il Napoli. E sei gol. Cosí, mentre ci illudiamo che il mondo ci ammiri, frenati da un nazionalismo provinciale gli offriamo un campionato modesto. Non come quello che vinse Maradona. E ce l’abbiamo coi cinesi.