Un'immagine di Amburgo in macerie alla fine della Seconda guerra mondiale - Bundesarchiv wikimedia commons
Come sanno i suoi sempre più numerosi estimatori, Winfried Georg Sebald è morto improvvisamente in Inghilterra il 14 dicembre 2001 in un incidente automobilistico, poche settimane dopo l’uscita di Austerlitz, il romanzo che l’avrebbe prepotentemente e definitivamente imposto ai lettori di tutto il mondo. Senza quella tragica morte Tessiture di sogno (Adelphi, pagine 244, euro 19.00), il libro bellissimo che esce oggi a cura di Sven Meyer per la traduzione – come di consueto – della brava Ada Vigliani, non sarebbe forse mai esistito nella forma in cui ci viene presentato, a metà tra officina e raccolta di saggi. In effetti, il lettore si troverà di fronte, nella prima parte, al referto incompiuto d’un viaggio in Corsica, che aveva preso corpo dopo la pubblicazione degli Anelli di Saturno (1995), ma poi accantonato, di modo che lo scrittore potesse dedicarsi completamente alla stesura del suo unico romanzo: si tratta di pagine già note in Italia, per essere state pubblicate nel 2003 col titolo Le Alpi nel mare. Quanto alla seconda parte, trova invece asilo il lavoro del saggista e del critico, fotografato lungo tutto il suo percorso – che si va facendo sempre più originale – dal 1975 (un intervento sul Kaspar di Peter Handke) sino al novembre del 2001, quando Sebald tiene un discorso per l’inaugurazione della Casa della letteratura a Stoccarda, e cioè Un tentativo di restituzione, felice e ipnotica riflessione sul significato della letteratura. È il Sebald più prossimo a Soggiorno in una casa di campagna (1998). Stiamo insomma parlando di 26 anni di attività, durante i quali Sebald ha potuto scrivere di Günter Grass e Wolfgang Hildesheimer; di Peter Weiss, Jean Améry e Ernst Herbeck; del pittore Jan Peter Tripp; di Kafka (sui diari di viaggio e sul cinema), Nabokov e Chatwin; dei suoi moments musicaux.
Vale la pena riportare subito la conclusione del discorso citato, che sembra tradursi in epitaffio solenne e, insieme, in una lucida dichiarazione di poetica, capace com’è di suggellare suggestivamente tutta la sua vicenda di prosatore, in cui alla fine il narratore e il saggista diventano come le due facce della stessa medaglia: «Vi sono molte forme di scrittura; ma è solo in quella letteraria che si può procedere, al di là della registrazione dei fatti e al di là della scienza, a un tentativo di restituzione». E ancora – cito da Tra storia e storia naturale. La descrizione letteraria della distruzione totale, che anticipa di diciassette anni Storia naturale della distruzione (1999) –, a proposito di La fine (1943) di Nossack, dedicato ai bombardamenti che rasero al suolo Amburgo: «In netta rottura con la narrativa tradizionale, Nossack si concede sperimentazioni con altri generi di prosa, dal resoconto all’annotazione, all’inchiesta, in modo da lasciar spazio a quella contingenza storica che fa saltare il quadro della letteratura incentrata sul romanzo». E ancora: «Nossack riesce (...) a mantenere per lunghi tratti il tono documentaristico, che sarà di esempio per il successivo sviluppo della letteratura nella Germania occidentale». Dove è evidente da parte di Sebald, in tale delegittimazione del genere del romanzo, del tutto inadeguato a dar conto della 'distruzione', la scelta di Nossack a proprio alter-ego. Così com’è assai significativa all’interno di questo stesso saggio la presenza del più volte citato Elias Canetti, autore, oltre che del cruciale Massa e potere (1960), anche dell’importante scritto del 1971 sui progetti edilizi di Albert Speer, l’architetto personale di Hitler, poi ministro per gli armamenti del Reich. Delle pagine sulla Corsica resta indelebile (e memorabile) il ricordo di Campo Santo (che è poi anche il titolo originale del libro), capitolo dedicato al cimitero di Piana. Tombe su tombe, alcune sprofondate nel terreno, altre «già sepolte sotto quelle più recenti». Ecco: distruzione (nel cui segno, nel 1944, lo scrittore venne alla luce), morte, oblio, profanazione. Nel Discorso di presentazione all’Accademia tedesca per la lingua e la poesia del 1999 scrive: «Mi è già accaduto in sogno, proprio come accadde a Hebel, e anche a lui in sogno, di venire smascherato a Parigi, con l’accusa di aver tradito la patria e di essere un millantatore». E poi: «Anche e soprattutto a causa di simili paure, l’odierna accoglienza in questa Accademia è per me un’insperata e gradita forma di legittimazione». Struggente Sebald: ma non è proprio di qualsiasi vero scrittore il sospetto di essere un impostore? Che altro è in fondo la vita, se non una grande impostura?