Una rilettura in chiave moderna dell’Odissea, calando la vicenda di un novello Ulisse in un naufrago dei giorni nostri, Saad, un iracheno in fuga dalla Baghdad in fiamme. Un periplo di avventure lungo Egitto, il Sud e il Nord Italia, la Francia e l’approdo finale a Londra. In
Ulysse from Bagdad – da poco edito in Francia per Albin Michel (pp. 311, euro 20) – come una spina aguzza la penna di EricEmmanuel Schmitt penetra le contraddizioni del Mediterraneo attuale, stretto nella morsa dell’emigrazione africana e mediorientale verso l’Europa, e lo smarrimento del Vecchio Continente di fronte a questa ondata di umanità disperata. L’autore del celebre
Il vangelo secondo Pilato (San Paolo) e dei recenti Il visitatore e Odette Toulemonde (edizioni e/o) ha appena concluso in Canada le riprese del suo secondo film, basato sul racconto
Oscar e la dama in rosa (Rizzoli).
Perché ha scritto un romanzo partendo dalla situazione irachena attuale? «Penso che l’Iraq di oggi concentri le contraddizioni del nostro tempo, i problemi di identità che abbiamo tutti. L’intervento americano in Iraq può essere considerato – e io penso così – sia come un’invasione che come una liberazione: questo evento ha qualcosa di tragico perché vi sono due posizioni antagoniste che si confrontano, ed entrambe hanno ragione. L’Iraq è stato liberato perché è stato abbattuto un dittatore ingiustificabile come Saddam Hussein, ma è stato anche invaso in base a motivi economici e finanziari».
Il protagonista del suo romanzo, Saad, è un musulmano che rifiuta di diventare terrorista per vendicare la morte della sua amata. È un personaggio solamente letterario o con agganci alla realtà? «Saad rifiuta di cadere nel regime dell’odio, non segue soluzioni facili ed immediate, accetta la complessità della situazione. Con grande coraggio dice no al terrorismo. La figura di Saad è letteraria ma mi sono ispirato ad alcuni incontri concreti. Ho conosciuti molti emigranti, iracheni, marocchini, africani… io abito in Belgio, zona dove molti stranieri si fermano o passano nel viaggio verso la Gran Bretagna. Nel personaggio di Saad ho voluto mettere qualcosa di universale di questi incontri. Molte di queste persone sono state obbligate a partire dalla loro terra per la responsabilità che avevano verso la loro famiglia, giovani uomini che, morto il padre, si sono visti chiedere dalla madre di mantenere quelli di casa. Partono in maniera costretta ma restano molto legati alla loro famiglia: sentendo le storie di questi migranti, sono stato sconvolto e toccato nel profondo. Resta forte in loro questo legame invisibile, a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, con la famiglia, accettano situazioni insopportabili per mandare a casa qualche soldo. Queste persone sono gli eroi dei nostri tempi ma i media non li mostrano così mentre i politici li mettono nei centri di detenzione temporanea. In loro c’è una dimensione eroica ed etica fortissima, non affrontano questa situazione per se stessi ma per i loro famigliari».
Nel romanzo ci sono parole molto commoventi sul modo in cui i siciliani accolgono gli stranieri che arrivano sull’isola a bordo delle 'carrette del mare'. Come vede la società italiana rispetto alla questione-immigrazione? «Non ci sono soluzioni semplici ed evidenti. Lo scopo del mio libro è far parlare un umanesimo secondo il quale tutti gli uomini sono rispettabili. La condizione del clandestino non deve portare al fatto che questa persona non venga più considerata persona anche se la legge non prevede la sua figura giuridica. Bisogna trattare caso per caso, ogni clandestino ha una storia, non c’è una situazione globale. Poi, dobbiamo imparare a considerare quando diciamo 'noi': noi chi? Noi francesi? Noi italiani? Noi europei? Noi esseri umani? Con il mio romanzo ho cercato di dare carne e vita a tutti questi temi».
«Avere solo un’idea. A partire da due idee, si comincia a riflettere; ora, il fanatico sa, non pensa». Questo è il «primo comandamento» dei terroristi, si legge nel suo libro. Vede anche qualche «terrorismo integrista» in Europa, almeno a livello intellettuale? «Gli integralismi ci sono ovunque, quando uno pensa che solo lui ha ragione e tutti gli altri torto, soprattutto in campi come la morale, la politica, la religione, la filosofia, dove ogni risposta è problematica, è un 'forse': è questo il dramma umano. L’integralista è colui che dice: Io ho la verità. L’integralismo religioso più pericolo oggi è certamente quello islamico, ma esiste anche un integralismo ateo. In Francia, in questi anni, c’è gente che dice che Dio non esiste, che la vita è qualcosa di ridicolo, che non esiste una morale. L’integralismo in questo caso non è della religione ma di chi presume di sapere tutto. È il caso del fenomenologo Michel Onfray, il quale spiega che cristiani, ebrei e musulmani sono persone sciocche perché credenti. E ha un successo enorme, i media lo chiamano filosofo, quando invece è un ideologo. I filosofi sono quelli che fanno le domande». \\ Banbini e donne a Baghdad. Sotto, a destra, Eric-Emmanuel Schmitt, a sinistra,Testa di Ulisse del I secolo a.C.