sabato 3 settembre 2022
Una storia degli oceani indaga i miliardi di anni della loro esistenza: gli aspetti scientifici, i misteri e l’essenziale relazione con l’uomo, che oggi, come mai, ha bisogno di essere rivalutata
Questo mare che ci è sempre più necessario
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Si può raccontare il mare? Si può davvero narrarne la storia, il mistero, spiegare la sfida che da sempre rappresenta quell’immagine stessa della vastità, seconda sola al cielo? Una risposta ci viene dall’ultimo libro di Alessandro Vanoli, Storia del mare (Laterza, euro 24,00), che prende opportunamente le mosse, anzi, il largo, da un biblico «In principio ». Perché la vastità del mare non è solo spaziale, ma anche e soprattutto temporale: l’acqua, ben quattro miliardi di anni fa, era già lì. Sono 576 pagine in cui svariati argomenti si succedono talvolta per associazione tematica, ma mai trascurando la rotta cronologica che farà approdare il lettore - sedotto da una narrazione tentacolare, almeno quanto la copertina del libro, e sempre avvincente - fino ai nostri giorni. Fino ai pericoli dell’inquinamento e alla crisi climatica, fino al dramma dei migranti da Africa e Asia, paragonati, con efficace espediente narrativo, ai migranti italiani del XX secolo: diverso il contenuto della valigia, simili il dramma e le speranze. Una storia del mare, quindi, ma anche un mare di storia. E poi, inevitabilmente, in ordine sparso: geografia, geologia, oceanografia, ittiologia, storia economica e ancora molto, molto altro.

Tutto abbraccia, tutto include il mare. Che può essere osservato da mille prospettive e a sua volta può insegnarci che è la storia a poter essere raccontata da prospettive infinite. E fra le tante riflessioni suggerite da questa lettura, c’è un’idea, solo apparentemente scontata, che ricorre con una certa costanza: l’uomo non vive una relazione esclusiva col mare, è solo uno dei tanti co-protagonisti di questa storia, insieme a una miriade di pesci, crostacei, molluschi e ai tanti altri esseri marini di cui queste pagine descrivono caratteristiche e abitudini. Non serve arrivare alla parte conclusiva del libro, "Il mare minacciato", per ricordare come molte di queste specie siano a rischio, e questa volta non si tratta dei normali cambiamenti ed estinzioni che hanno da sempre accompagnato la storia del nostro pianeta. La novità è duplice: mai simili cambiamenti sono avvenuti così rapidamente, mai per colpa di una sola specie. Il mare raccontato da Vanoli è allora soprattutto un mare da salvare. I dati sono impietosi: otto sono i milioni di tonnellate di plastica che si riversano in mare ogni anno, cinquantuno i trilioni di particelle microplastiche presenti oggi nel mare, da mezzo metro fino addirittura a un metro è la misura dell’innalzamento del mare da qui a fine secolo, secondo le attuali proiezioni. La lista potrebbe continuare, raccontando per esempio di quante altre specie rischiano ancora per l’azione diretta dell’uomo: quando avrete concluso la lettura di questo articolo, mille squali nel mondo saranno stati uccisi, al ritmo di duecento al minuto, cento milioni all’anno, con almeno una dozzina di specie ormai avviate all’estinzione.

C’è dell’altro, però. Bisogna preservare anche una conoscenza del mare. La sua storia, dicevamo, certo. Il sapere tecnico, anche. Viene poi da chiedersi quale sia la percezione del mare oggi, ora che altre sono le "navigazioni" che contano, altre le "reti". Quanto siamo davvero consapevoli, per esempio, della sua importanza per l’economia mondiale? Anche in quest’ambito i dati aiutano a capire: il novanta per cento delle merci viaggia via mare. E verrebbe da aggiungere che l’ingente danno economico causato dall’ostruzione del canale di Suez dello scorso anno dovrebbe avercelo già fatto presente. E ancora, in tempi recenti, la presenza navale russa nel Mediterraneo prova come il vecchio adagio «chi controlla i mari controlla il mondo», puntualmente citato da Vanoli, nonostante tutto sia sempre valido. Prima ancora, però, c’è da salvare soprattutto il senso del mistero, della meraviglia, la sfida a spingersi sempre oltre i confini. Ancora una volta, ancora più lontano. Questo è stato per secoli il mare per l’uomo: ne ha eccitato le paure e i desideri più profondi, ne ha stimolato la curiosità e persino il senso religioso. Lo ha spinto verso un altrove. E poco importa se il canto delle sirene era solo un inganno e le isole dei beati una bella fantasia. La fine dell’epoca delle grandi scoperte geografiche e la conseguente presunzione di una conoscenza completa hanno ingiustamente ridimensionato il fascino del mare. Eppure, non ci può essere una consapevolezza e un efficace senso di responsabilità senza il recupero di questa bellezza. Vanoli conclude suggerendo che forse l’uomo dovrebbe finalmente mettere da parte l’idea della sua centralità, per iniziare a pensare, piuttosto, di essere solo «specie fra le specie». Una provocazione? Comunque la si pensi, è evidente come anche un nuovo umanesimo non possa prescindere da uno sguardo purificato sul creato. Non è ancora troppo tardi, ma - è bene ripetercelo spesso - non abbiamo più alibi.

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