«È di pochi giorni la notizia che un giovane, laureato in fisica nella mia facoltà, è stato ordinato diacono dal vescovo di Trento. Sono molti i colleghi e amici che, scienziati (anzi soprattutto matematici) di professione, hanno,come me, una fede. Anche se – ovviamente – non per tutti è una fede cristiana». Marco Andreatta, è professore ordinario di geometria, e preside della Facoltà di Scienze all’ateneo tridentino. Per lui, matematica e fede sono due aspetti del pensiero umano che operano in ambiti sostanzialmente separati ma che alle volte si intersecano con conseguenze molto interessanti.
Che cosa hanno in comune? «Il matematico è forse il ragionatore razionale per antonomasia; da Galileo in poi, di ogni nuova teoria si dice che è scientifica se si basa sulla matematica e sui suoi procedimenti logico-deduttivi. Ma questo non impedisce a un matematico né, ad esempio, di innamorarsi (attività non sempre 'razionale') né di provare sentimenti di solidarietà, passioni politiche, nè di credere in una religione e nei suoi dogmi di fede. E, d’altro canto, come una donna può innamorarsi di un matematico, per il suo 'sapere', il suo modo di fare e di pensare, così la fede può entrare nell’ animo del matematico ».
Alcuni matematici, nel corso della storia, per spiegare il loro essere uomini di fede, hanno addotto argomentazioni provenienti dalla loro esperienza di scienziati. «Personalmente non mi ha mai entusiasmato la prova ontologica di Anselmo (che un matematico come Cartesio sintetizza affermando che 'l’esistenza di Dio è compresa nella sua essenza' e che il logico-matematico Kurt Gödel ha formalizzato nel secolo scorso). Mi ha sempre colpito invece l’argomento di Pascal, riconducibile a quella che oggi si definisce 'teoria dei giochi': dopo un’accurata analisi dei pro e dei contro, il filosofo-matematico francese (inventore del calcolo delle probabilità) sostiene che la scelta di credere in Dio e in una vita eterna sia più ’conveniente’. Non ho mai dato troppo peso all’aspetto utilitaristico, ma ho sempre pensato che sotto questo ragionamento razionale ci fosse la speranza che la fatica terrena avrà, per i più sfortunati e per gli ultimi, un senso superiore».
Per alcuni, accettare il mistero è la via migliore per arrivare a un approdo. «Tra i tanti punti di vista, il mio preferito è sicuramente quello del matematico italiano Ennio De Giorgi, così espresso in un importante intervento sull’Osservatore Romano del 18 novembre 1978: 'operando come matematico mi sono forzato ad ammettere che: non solo le cose che esistono sono, come è ovvio, più di quelle che conosco, ma per poter parlare delle cose conosciute sono costretto a fare riferimento a cose sconosciute ed umanamente inconoscibili; …perciò il fatto che la religione preveda il mistero appare (al matematico) più come condizione necessaria per la sua credibilità che non come ostacolo all’accettarla'. Ma attenzione, ammonisce più avanti De Giorgi, 'Dio non può essere ridotto al primo ente autocomprensivo'. Abbiamo allora la sensazione di non poter applicare categorie puramente logiche (pensiamo all’umiltà di ascolto, al 'beati i puri di cuore'…)».
Nella sua vita c’è un evento che l’ha spinto a credere? «Ho un ricordo personale, forse semplice, ma per me di intenso significato: a sette anni frequentavo la catechesi per la prima comunione, insegnata da un giovane e brillante sacerdote, don Giampaolo. Disegnò sulla lavagna non il solito triangolo con l’occhio al centro ma un magnifico cerchio e disse: così come capite che il cerchio non ha un punto di inizio e uno di fine, così potete anche capire che Dio è tutto, è inizio e fine al tempo stesso. Ho sempre pensato che questa lezione sia tra le cose che mi hanno spinto da grande ad occuparmi di quella parte della matematica che è la geometria».
Qui abbiamo il caso della fede che spinge verso la matematica. «Penso che anche in questo caso De Giorgi avesse ragione quando affermava 'che è più facile per chi crede accettare il principio fondamentale dell’etica scientifica, cioè la ricerca appassionata della verità', e quindi accettare mutamenti culturali in questa direzione. Con l’attenzione a tenere ben chiari i vincoli del ragionamento scientifico, perché, citando Galileo, 'non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi come ogni effetto di natura'. Lo scienziato ha obblighi-vincoli rigorosi nel ragionare: gli derivano dal comportamento della natura dal quale non può prescindere; la mela cade dall’albero, non vola in alto. Richard. Feynman, illustre fisico teorico, diceva che una cosa è pensare e discutere di un angelo custode, che ognuno può immaginare un po’ come vuole; altra cosa è pensare ad esempio al campo elettrico, che è soggetto a talmente tante specifiche...».
Oggi si può ancora dire che la matematica è l’anima delle scienze e che da essa dipende in gran parte il futuro dell’umanità? «Certo. Si pensi ad esempio alla possibilità di controllare gli eventi provocati dai cambiamenti climatici e ai sofisticati modelli matematici necessari per questo, la matematica delle singolarità e del caos. Proprio la centralità del futuro dell’uomo come argomento di fondo della ricerca matematica dovrebbe portare il credente a interessarsi della matematica, perché questa disciplina fornisce buona parte delle regole interne a tutta la ricerca scientifica. Indubbiamente il vorticoso sviluppo tecnologico, più che la scienza stessa, ha in questi anni fatto nascere un’enorme quantità di questioni. Nel mio campo basti pensare ai formidabili e irrisolti problemi legati alla complessità matematica intrinseca nelle nuove tecnologie: dalla biologia alla rete mondiale dell’informazione, tutti oggi chiedono alla matematica paradigmi e strumenti concettuali nuovi ed efficienti per poter gestire, condividere e sviluppare le nuove scoperte. Anche per questo la matematica odierna è una scienza ricchissima di nuovi sviluppi e molti pensano che i prossimi anni saranno prodigiosi in questo campo. Problemi in ambiti diversi vengono posti all’umanità dalle nuove tecnologie: sono quelli riguardanti la libertà e la responsabilità: questioni inedite, che anche la Chiesa, con ragione, solleva, e sulle quali è possibile e auspicabile un dialogo aperto e costruttivo, dato che, citiamo ancora Galileo, ’due verità non possono mai contrariarsi’. Spero che la fede possa condividere con la scienza la fiducia nelle capacità razionali dell’uomo sulle quali, in buona parte, si fondano le nostre speranze di pace e di progresso».