sabato 17 giugno 2017
Nel grande emiciclo romano di Pompei la prima rassegna di drammaturgia antica con compagnie internazionali. Grande attesa per la rivisitazione in chiave africana dell'eroina greca.
Se Antigone diventa nera
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Antigone vive alla periferia di Dakar, ha la pelle nera e lo sguardo fiero dell'Africa. Mentre coraggiosa insiste con re Creonte sul diritto a una pietosa sepoltura del fratello ribelle, un griot senegalese, un vero cantastorie che incarna tradizioni millenarie, intona il suo misterioso canto in lingua wolof. Attorno a loro, un coro composto da attori senegalesi residenti in Italia. Antigone, una storia africana di Jean Anouilh, produzione realizzata in Senegal dal regista italiano Massimo Luconi, è probabilmente l'appuntamento più atteso di "Pompeii Theatrum mundi", la prima rassegna di drammaturgia antica a cura del Teatro Stabile di Napoli/Teatro Nazionale e Soprintendenza di Pompei per valorizzare il sito archeologico.

Dal 22 giugno al 23 luglio cinque grandi testi classici saranno messi in scena nel Teatro Grande di Pompei, risalente al II dopo Cristo, appena riaperto al pubblico. Apre il 22 giugno Orestea di Eschilo con la regia di Massimo De Fusco. A seguire due regie di Luconi, il 30 giugno con la prima assoluta di Prometeo di Sofocle con Luca Lazzareschi e il 6 luglio con Antigone. Una storia africana di Anouilh. Infine Le baccanti di Euripide, regia di De Rosa, dal 14 luglio e Fedra di Seneca regia di Carlo Cerciello dal 22 luglio.«Prometeo e Antigone li ho pensati come un dittico - spiega Luconi -. Sono due giovani coraggiosi che mettono in gioco la propria vita per i diritti dell'umanità. In particolare Antigone ovunque vi siano discriminazioni razziali, conflitti, intolleranze religiose, torna ad assumere il ruolo dell'eroina che sfida i regimi totalitari in nome della pietas universale che si estende a tutti gli uomini sentiti come fratelli». E questa storia raccontata oggi dai giovani africani, ha ancora più senso.

Ne è convinto Luconi che da 25 anni lavora a progetti teatrali dall'Africa Occidentale all'Eritrea, e che ha realizzato Antigone con la collaborazione dell'istituto culturale di Saint Louis in Senegal, la comunità senegalese di Prato, Appi e Teatro Metastasio. «In Senegal - racconta il regista - capitai per caso nel 1991 per una messinscena di Chaka di Senghor con le musiche di Antonio Aiazzi e Gianni Maroccolo dei Litfiba e un bravissimo attore senegalese, Omar Penn. Quel primo contatto con l'Africa nera, ricco di contaminazioni culturali e artistiche mi ha affascinato e si sono create molte occasioni di lavoro». Un percorso di crescita anche umano per il regista, in un luogo dove la tradizione si sposa con l'innovazione tecnologica e dove si respira una energia esplosiva nel campo dell'arte. «In questo momento storico di massificazione culturale e di perdita di valori forti, le emergenze culturali e le energie di territori lontani e periferici rispetto alla nostra cultura spostano l'asse della riflessione e rimettono in discussione il nostro saper fare. Le periferie del mondo, in Africa, Asia, America Latina, diventano prepotentemente luogo di centralità della discussione e produzione culturale».

È per questo che una Antigone senegalese oggi è più vicina al rito sacro e catartico del teatro greco antico, di quanto lo possa essere una europea. Il testo di Anouhil viene messo in scena da Luconi con un taglio asciutto e profondamente spirituale. «Il griot, il cantastorie africano che racconta, prega e spiega al pubblico, è il vero sacerdote della cerimonia nel quale ognuno si identifica - aggiunge Luconi -. La storia di Antigone si sviluppa come una cerimonia funebre che rispecchia la forte spiritualità radicata nel dna dei senegalesi, quella di un Islam morbido e non integralista, di profonda intensità e apertura». Molte generazioni di nuovi artisti africani sono cresciute con Luconi negli ultimi vent'anni, in particolare questo gruppo di 6 giovani di Saint Louis nel Nord del Senegal, selezionati dal regista dopo un lavoro di formazione dal 2010 al 2013 con altri 40 giovani. E così sul palco di Pompei vedremo Aminata Badji (Antigone), 25 anni, che abita nella grande periferia di Dakar, dove si arrangiano migliaia di famiglie arrivate dai vilaggi dell'interno del Senegal, del Mali o della Guinea, scappando da guerre e carestie.

La sua grande passione per il teatro l'ha portata a entrare in un gruppo amatoriale che lavora organizzando feste e spettacoli in occasione di battesimi e matrimoni. «Ora è maturata ed è una Antigone di grande intensità, oltre che una giovane donna diventata indipendente in un Paese in cui l'emancipazione femminile è ancora difficile», dice il regista. Come pure è maturato moltissimo Ibrahima Diouf (Creonte), 21 anni, la cui eleganza naturale emerge da una periferia poverissima. Mentre Yaya Ibrahima Kambou discende da una famiglia di griot, vive delle offerte che gli vengono elargite durante le feste e le cerimonie e ricorda a memoria intere genealogie dinastiche, leggende e proverbi. Ha sempre guardato all'Europa col sogno di emigrare Moamhed Sow (una guardia), ragazzo padre con una figlia di 3 anni a cui è legatissimo.

«È uno di quei giovani che col teatro hanno trovato una possibilità nella loro terra», aggiunge Luconi spiegando che la regione di Saint Louis è uno dei luoghi di maggiore emigrazione dell'Africa subsahariana, con migliaia di persone che con piroghe da pesca cercano di raggiungere le Canarie o la Spagna, oppure attraversano il Sahara per finire vittime dei trafficanti in Libia. «Oggi - conclude Luconi - si stima che in Senegal un giovane su quattro tenti di partire. Questo progetto ha portato dei piccoli ma concreti cambiamenti nella vita di questi ragazzi che si sono associati in una compagnia che cerca di trovare una via professionale al teatro. Ora girano i villaggi per spiegare alla gente i rischi dell'emigrazione senza alcuna tutela, e invitano a lottare per un futuro in Africa».

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