Pooh (Dodi Battaglia, Red Canzian, Stefano D'Orazio, Roby Facchinetti, Riccardo Fogli) - Archivio
Milano, San Siro: fra prato e platea 53mila persone (oggi sarà uguale, e Roma per il 15, è già “sold out”), sul palco di 600 metri quadrati, fiancheggiato da cornici altissime che rimandano immagini live e chiuso da colonne di luci ed effetti visivi, cinquant’anni di Pooh. Ossia Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian, il redivivo Stefano D’Orazio con doppia batteria su pedana girevole e Riccardo Fogli, Pooh dal ’66 al ’72.
A prima vista sono stati questi, ieri sera, gli ingredienti principali della prima data del tour d’addio(ma è sempre meglio non fidarsi degli artisti…) del più importante gruppo italiano: che festeggia e chiude i battenti con quattro show-evento negli stadi –a Messina l’ultimo il 18 – per poi toccare l’Arena di Verona a settembre, i palasport subito dopo e chissà cos’altro combinare sino a dicembre.
Si potrebbe dunque partire dalla celebrazione, non scevra di retorica ed effetti speciali: esplosione di fumi all’inizio e coriandoli alla fine, schermi giganti che salgono e scendono, gabbie di laser, disegni di luce sul pubblico, fondale che diventa cattedrale, bosco, grotta camuna, palazzo, galassia. E ancora lingue di fiamma, torri che sprizzano scintille e la scritta Pooh che davvero prende fuoco.
Ma il punto, crediamo, non è questo. E non è neppure il marketing che accompagna “Reunion - L’ultima notte insieme” e approderà in settembre a pubblicare i concerti milanesi in più modi fra cd, dvd, lp, libro e pure le ultime canzoni inedite dei Pooh: proprio un inedito, l’orecchiabile e ben pensato Ancora una canzone, chiude lo show a sorpresa.
Ma se i Pooh sono ancora in scena dopo mezzo secolo, con una scaletta di 50 brani senza punti deboli eppure ugualmente priva di diverse perle (qualche tema sociale, l’avventura in tre, poesie tipo Ascolta), non può essere per marketing o laser. È perché, partiti dal talento ma imparando il mestiere nella gavetta, i Pooh hanno finito col fare rima con la storia della nostra musica: beat, prog, pop da classifica,rock, cantautorato, da quando tutto nasceva fra mille linguaggi originali all’oggi che invece racconta solo noie stereotipate, sul fronte giovani leve.
Come se – e forse il se è pleonastico – solo i “vecchi leoni” sapessero ancora scrivere e mettere in scena vere canzoni: però è un fatto che solo in serate come quella di ieri, ed è questo il punto, si può ancora assistere a un concerto chiudendo gli occhi perché la vera primattrice è la musica, col suo caleidoscopio di colori ed emozioni.
I Pooh partono in quattro, con le belle suite Giorni infiniti e Rotolando respirando, Fogli arriva poco dopo a riavvolgere il nastro della “macchina della musica” fra il primo 45 giri Vieni fuori, una maiuscola In silenzio, una beatlesiana Piccola Katy. Fogli entra ed esce, fra i colleghi: lo fa con caratura da grande interprete, voce notevole e sfumature emotive non da poco appoggiate su più brani. I “suoi”, certo: Alessandra che fu l’ultima che cantò su disco e palco nel ’72, Quando una lei va via, Nel buio in cui torna al basso. Ma è da applausi anche quando duetta con gli altri nella coraggiosa Pierre, nella maiuscola Dove sto domani, nel canto pieno di Cercando di te e nella tenerezza di 50 primavere, dedicata alle nozze d’oro dei genitori di D’Orazio e forse un po’ pure ai Pooh.
I quali Pooh, gli altri quattro, quando fanno i Pooh provocano problemi alla stabilità del Meazza. In Io e te per altri giorni con la sua esplosione di batteria, nel repechage della perla Se sai se puoi se vuoi, nei brani (Stare senza di te, L’altra donna, Se c’è un posto nel tuo cuore, il capolavoro Ci penserò domani) che regalano a Canzian, Battaglia, D’Orazio e Facchinetti intensi momenti solisti. E non si sono ancora citate hit, da Uomini soli a Chi fermerà la musica: ce ne sono una dozzina in programma, ma le ultime righe vanno doverosamente al rock sinfonico de La gabbia, Risveglio, L’ultima notte di caccia, una strepitosa Parsifal. Quelle composizioni uniche nel nostro panorama, e nel tempo sin troppo nascoste proprio dalle hit.
Così l’unica faccenda che manca a questi Pooh all’addio è il loro paroliere-poeta che purtroppo, dopo averli fondati, non li ha visti arrivare a oggi. E quando il volto di Valerio Negrini appare sugli schermi durante Domani, «Ci porterà fortuna / non perderci di vista mai», sale il magone: non solo per Negrini, anche per questa nostra musica leggera. Perché è vero, forse dirlo sarà banale e noi saremo sentimentali; magari poi nel tempo ci siamo pure sin troppo abituati a svilire la canzone nel termine pop che invece significa per la gente comune, chi suda lo stipendio cercando nelle emozioni squarci di cielo.
Però accidenti se i Pooh l’hanno saputa fare, la “canzonetta”: da ieri, la fanno sfilare per l’Italia in uno tsunami di musica che pare proprio capace di resistere al tempo. Anche dopo che il tempo (il 31 dicembre, giurano loro) scadrà davvero.