venerdì 3 luglio 2020
L’artista lucana al Castello Sforzesco di Milano aprirà l’evento dal vivo Aspettando Contaminafro con il nuovo brano “Ho tutto tranne te”: «Il mio inno al volontariato e all’impegno dei City Angels»
La cantautrice Rosmy, nome d’arte di Rosamaria Tempone, vincitrice già all’esordio del premio “Mia Martini” nel 2016

La cantautrice Rosmy, nome d’arte di Rosamaria Tempone, vincitrice già all’esordio del premio “Mia Martini” nel 2016

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Una notta di pandemica musica al Castello Sforzesco. Aspettando Contaminafro 2020, la settima edizione del festival delle culture contemporanee che doveva tenersi a Milano a giugno, ma slitterà all’autunno nella speranzosa attesa che il Coronavirus ci abbandoni. Eppure mai come nei mesi scorsi è stata proprio la musica a essere diversamente virale, sfogo e quotidiano conforto ad accorciare (non solo idealmente) il distanziamento fisico imposto dal Covid– 19. Vero e proprio accompagnamento e sostegno morale a chi sul campo ha dovuto moltiplicare gli sforzi, dai medici agli infermieri delle terapie intensive fino a chi ha continuato a fare della strada la propria trincea operativa, come i City Angels. All’emergenza di ogni giorno, in tempo di Covid–19 si è infatti aggiunto per questi volontari della solidarietà urbana un surplus di coraggiosa incessante dedizione. A cantarne la meritoria opera quotidiana sarà (domenica sera, 5 luglio) Rosmy nell’opening act dello spettacolo di taranta salentina di Daniele Durante, mediterraneo ponte musicale e culturale con l’Africa in vista dell’imminente festival. Rosmy, nome d’arte di Rosamaria Tempone, vincitrice già all’esordio del premio “Mia Martini” – Nuove proposte per l’Europa 2016, presenterà per la prima volta dal vivo il nuovo brano Ho tutto tranne te, un messaggio sociale di solidarietà che valorizza lo straordinario impegno dei City Angels, associazione di volontariato nata a Milano nel 1994. Girato da Beppe Gallo sul Belvedere del Palazzo Lombardia di Milano, il videoclip del brano è uno sguardo sulla città vuota e desolata della pandemia. Protagonista del filmato è un senzatetto, interpretato da Carlo Ponta, che trova aiuto e conforto nei City Angels, guidati dal loro fondatore Mario Furlan. «Il videoclip – racconta Rosmy, che di questi angeli metropolitani è testimone da anni – è un inno al volontariato e allo straordinario impegno sociale dei City Angels i quali da anni sono un punto di riferimento sicuro per i cittadini. In quei giorni anomali sarebbe sembrato persino normale non soccorrere qualcuno che chiedeva e ancora chiede aiuto. Ma il distanziamento non può giustificare, diventando un alibi, quei valori che da sempre, hanno reso un essere umano tale. Solidarietà, amore, rispetto non possono essere dimenticati».

Rosmy, i temi sociali sono una costante nelle sue canzoni…

Ma indirettamente. Come conseguenza delle mie esperienze personali, comprese quelle scolastiche come insegnante di inglese. La canzoneHo scelto di essere libera è per esempio il frutto di incontri e dialoghi con alunni e genitori sul problema del bullismo. Per scoprire che alla fine la vera e più drammatica richiesta di aiuto è quella di chi bullizza, ragazzi spessi disadattati e violenti per reazione a un proprio disagio e malessere esistenziale. Il video di quel brano, girato a Matera, è stato portato in diverse scuole e ho percepito che i ragazzi si sono sentiti capiti e rappresentati. Io filtro a modo mio ciò che vivo e sento, attorno a me e dentro di me.

Il compito dell’artista, in fondo.

E come tale mi sento ancor più chiamata a lanciare messaggi positivi. Le persone hanno bisogno di speranza, di fiducia, di percepire il bene. Io per prima, per cui mi sento in qual- che modo una sorta di missionaria. Ma tutti abbiamo bisogno di segni positivi, che possiamo trovare ogni giorno e ovunque. Basta però che il nostro sguardo li sappia cogliere. In questo senso io devo molto all’amore che ho ricevuto, anzitutto dai miei genitori. Persone che hanno dovuto emigrare e che hanno conosciuto il sacrificio e la profonda dignità del lavoro. L’etica del lavoro è per me un faro assoluto. E il lavoro ci unisce come persone.

Viene da lì una sua certa attenzione alla multiculturalità?

Credo che discenda dalle mie radici. Tutta la mia famiglia è stata connotata dal girovagare, compresi appunto i miei genitori. Mio padre è lucano, mia madre è toscana e io sono nata a Zurigo. Si sono conosciuti in Svizzera, ma per puro caso. Mio padre, che è poi diventato un apprezzato fisioterapista, era emigrato in Svizzera a sedici anni per lavoro. Ma ben prima di lui sono stati degli autentici giramondo i nostri più lontani antenati. Siamo eredi della famiglia Trichitella, musici e girovaghi di arpa e violino, che hanno portato a New York e Parigi la tradizione dell’arpa di Viggiano diventata famosa in tutto il mondo.

E che adesso approda al Castello Sforzesco.

Per me è molto importante e altamente simbolico aprire con la mia musica questo evento che unisce più culture, quella salentina, quella africana e quella lucana, la mia terra. Un modo per tornare idealmente ai miei antenati. Io credo molto ai segni che la vita ci mette davanti. È un continuo intreccio di interconnessioni, come l’aver scoperto che la mia trisnonna si chiamava Rosa Maria, come me. Ma non sono stata chiamata così intenzionalmente. Ma soprattutto la musica come legame di intere generazioni della mia famiglia.

L’arte nel sangue, insomma.

Suono fin da piccola, pianoforte e chitarra. Musica, ma anche tanto teatro. È dal palcoscenico del resto che ho cominciato. Facevo parte di una di compagnia di Roma, il Centro Mediterraneo delle Arti. Ma avevo dentro una doppia anima e alla fine quella musicale ha avuto il sopravvento sul teatro civile. Avevo persino convinto il regista a inserire nello spettacolo brani di musica popolare.

Un suo personale teatro canzone?

Sarebbe il mio sogno, in effetti. Ora sto lavorando a nuovi progetti, sono in costante ricerca. Confesso però che mi affascina molto l’idea di uno spettacolo in cui unire le mie canzoni alla rappresentazione teatrale. L’anno scorso a maggio a un festival al Teatro Stabile di Potenza, grazie anche alla mia esperienza di due anni da aiuto regista, avevo messo in scena alcuni brani del mio album d’esordio Universale. Ma il mio ideale è quello di un teatro povero ed essenziale. Quello che conta è fare arrivare l’emozione, veicolo per poter lanciare messaggi e provocazioni profonde. Dobbiamo camminare sulla strada della conoscenza. Anzitutto di sé stessi, se si vuole comprendere il senso pieno dell’altruismo. La mia presenza sul palco di Aspettando Contaminafro ha anche questo significato.

Che cosa canterà oltre al nuovo brano?

Canterò altri due brani: Fammi credere all’eterno e una speciale versione della nenia tradizionale Ninna Nanna insieme alla cantante ivoriana Prudence. Mi esibirò in unplugged accompagnata da Michele Boni alla chitarra, Francesco Marcello Sette alle percussioni e Mattia Boschi al violoncello. Ninna Nanna è un’invocazione in dialetto lucano ai santi, Antonio, Irene, Nicola, affinché portino la pace laddove c’è la guerra. Il desiderio di unire tutti attraverso il linguaggio comune della nenia popolare. E della pace.

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