mercoledì 5 agosto 2015
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Tredici mesi dopo i Mondiali di calcio di Brasile 2014, oggi comincia il grande conto alla rovescia: 365 giorni alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. Ennesima kermesse del gigantismo sportivo, la 31ª edizione dei Giochi che si terranno sul suolo brasileiro (prima volta in Sudamerica). Biglietto d’invito che Rio recapita all’intero pianeta: appuntamento fissato per il giorno 5 agosto, cerimonia d’apertura (quella di chiusura il 21 agosto, poi le Paralimpiadi, dal dal 7 al 18 settembre) al nuovo stadio Maracanà. Il tempio del calcio e del mitico futebol bailado: ma ai Giochi tradizione vuole che il calcio non sia così centrale. La centralità sta nelle discipline classiche, a cominciare dell’atletica le cui gare non si terranno come tradizione nella sede della cerimonia d’apertura, bensì in un’altra, all’Estádio Olímpico João Havelange. Una delle poche cattedrali olimpiche già utilizzate, dal 2008 – come il perenne Sambodromo che ospiterà gare di tiro con l’arco e la maratona – con i suoi sessantamila posti concessi in affitto (fino al 2027) allo storico club del Botafogo. Una mosca bianca, il João Havelange, che svolazza tra le ombre dense ed oscure che, come al solito, si stagliano sopra il cielo assolato di Rio.Gli ultimi rapporti internazionali parlano infatti di appena il 15% degli impianti olimpici già pronti. Un andamento lento, assai preoccupante, che segue più la scia delle Olimpiadi di Barcellona che quelle di Londra (i due modelli a cui ha detto di ispirarsi il comitato organizzatore) che ad un anno dal via aveva già a completa disposizione più dell’80% degli impianti. Impossibile emulare i “Giochi perfetti” londinesi. Per disperazione, mista a congenita saudade, il Brasile – su pressione anche delle correnti pessimistiche del Cio – stava addirittura per mollare e chiedere a Londra di accollarsi anche le Olimpiadi del 2016. Pericolo – mai accaduto che due edizioni olimpiche di fila si tenessero nella stessa città – sventato e pessimismo cosmico rimandato al mittente, puntando sulle grandi progettualità in fase di realizzazione nel cantiere più aperto che si ricordi. A cominciare dalla favolosa Barra de Tijuca. «Il grande specchietto per le allodole», reclamano i censori; il «paradiso terrestre», per gli amatori, in cui si anima gran parte del villaggio olimpico di Rio 2016. Un’oasi che si snoda per la playa incantata di Copacabana (la sua spiaggia ospiterà lo spettacolo del beach volley), a Deodoro con la sua Arena per il basket, il pentathlon moderno e la scherma, fino a Maracanà. Tra incidenti di percorso e ritardi strutturali che stanno facendo slittare la consegna degli impianti e delle opere legate alla mobilità e i trasporti metropolitani, i costi lievitano di giorno in giorno e si prevede (come per i Mondiali di calcio del resto) che si sfori oltre i 12 miliardi di euro messi a budget. I detrattori dell’Olimpiade brasiliana parlano di una «fogna a cielo aperto». Gli abitanti dello Stato di Rio, abituati a convivere con le anomalie di questo eden accerchiato dai gironi infernali, sorridono dinanzi alla classica geléia (marmellata) nelle acque marine. È allarme rosso inquinamento, quello appena lanciato che interessa tutta l’area marina di Copacabana, Lagoa Rodrigo de Freitas, regno dei canottieri, e Marina da Glória, santuario dei velisti. Il coach croato del team velistico dell’Austria con un anno di anticipo ha già sperimentato il grado di tossicità delle acque di Rio assediate dai liquami: «Tutti i miei ragazzi dopo le uscite a Guanabara Bay hanno avuto vomito e dissenteria». L’esperta scientifica americana Kristina Mena avverte che «nelle acque di Rio sono presenti 37 tipi di virus nocivi per la salute degli atleti e che il 99% di loro è a rischio di contaminazione». Se, da qui alla fine del 2015, questi valori non verranno ridotti drasticamente da un’accurata opera di depurazione, si dovrà ricorrere a vaccinazioni di massa – a cominciare dai sieri contro l’epatite A – ai quali dovranno sottoporsi rematori, velisti nuotatori e tutti gli staff a stretto contatto con le acque. Dinanzi all’sos, monitorato costantemente dall’Organizzazione mondiale della sanità, passa in secondo piano anche lo spettro dell’eventuale crac finanziario post- olimpico. Dopo l’esborso, ufficialmente mai rientrato, dei 9 miliardi di euro scialacquati per i Mondiali di calcio, il fardello di Rio 2016 potrebbe far retrocedere il Paese dal rango di potenza economica del “Bric” (Brasile-India-Russia-Cina) a quello di nuova “Grecia sudamericana”.Lo spreco per gli «elefanti bianchi», come quel teatro stile Fitzcarraldo dell’Arena da Amazônia di Manaus (uno dei sei aperti per il calcio olimpico), sommato agli investimenti scellerati delle due kermesse, fa temere il peggio. E mentre Londra 2012 aveva sagacemente bonificato le zone periferiche e più degradate della città, Rio 2016 ha pensato bene di abbellire e rendere ancora più sfarzoso il salotto buono della Barra, per mostrare al mondo la solita “facciata A” della cartolina celestiale, verde, come la natura, e oro, come quello versato. E le favelas non bonificate, con il loro sistema fognario da terzo mondo, sono tra le cause dell’inquinamento delle acque e dei conseguenti veleni atmosferici. Unica bonifica, parziale, è quella operata alla Villa Autodromo, la favela attigua al circuito di Jacarepagua in cui, previo rimborso milionario agli espropriati, sono state rimosse le baracche, ma più di un centinaio di “indigeni” non ha nessuna intenzione di andarsene da lì. Del resto un vecchio detto brasiliano dice: «Puoi togliere un uomo dalla favela, ma non puoi togliere la favela da dentro a quell’uomo».Saggezza popolare ignorata dalla polizia di Rio e dall’esercito (si calcolano 200duecentomila uomini in divisa impiegati come per Brasile 2014, costo un miliardo di euro). Militari pronti ad entrare in azione già dal 16 agosto, quando per la manifestazione nazionale contro il governo di Dilma Rousseff è possibile che si ritrovino i reduci del fronte degli indignados del “Não Copa”, ovviamente nella versione aggiornata dei “Não Rio 2016”. Sipario olimpico pronto ad alzarsi comunque, nel Paese in cui Amnesty International denuncia il “record mondiale” di violenza per mano della polizia: 56mila morti nel 2012 (il 50% in età compresa tra i 15 e i 29 anni), dei quali 5.132 solo nella città dei Giochi. Tra samba e sangue, Rio gioca la sua ultima carta, inseguendo un sogno, ancora attraverso lo sport. Riuscirà nell’impresa? La risposta di un popolo, è forse nelle parole dello scrittore di Rio, Paulo Coelho: «Credo che solo una cosa renda impossibile la realizzazione di un sogno: la paura di fallire».
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