giovedì 30 maggio 2013
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Possibile? Hitler cammina tranquillo per le vie di Varsavia, prima dell’invasione. Nella storia non è mai accaduto, ma tutto può succedere in una commedia romantica. Capolavoro della Hollywood classica, To be or not to be, coraggiosamente girato nel 1941 da Ernst Lubitsch e uscito nel 1942, torna al cinema da oggi in versione restaurata e rimasterizzata. Tuttora una inarrivabile lezione di stile, con un congegno narrativo perfetto e un cast formidabile (Carole Lombard e Jack Benny), è la storia indimenticabile di una compagnia teatrale polacca rimasta senza lavoro dopo l’occupazione tedesca del 1939 e proprio mentre era in prova la loro ultima pièce, Gestapo. Il vortice degli imprevisti inserirà gli attori nei meccanismi esilaranti di un complotto antinazista impossibile e a lieto fine. Vieri Razzini, storico del cinema e direttore artistico di Teodora Film, da anni inseguiva questo progetto. «Riproporre i grandi classici è la mia passione – confessa – e pensavo fosse  giunto il momento per una riedizione su grande schermo di questo capolavoro. In Italia c’è apatia totale verso il passato: la televisione non fa assolutamente più nulla; le cineteche, eccettuata quella di Bologna, programmano pochissimo, siamo un paese che non ha alcuna attenzione per i film che fanno storia e cultura». Lubitsch esalta la finzione per raccontare tempi tragici e pericolosi.Varsavia, Londra, i diversi ambienti, sono tutti un fondale teatrale, ma in realtà il regista crea una vera e propria storia complessa con una sceneggiatura che non perde mai la logica e con un ritmo travolgente. Questa è una delle ragioni per le quali il film regge nel tempo: il fatto di rimanere così straordinariamente consequenziale, in cui nulla è lasciato al caso.Fu una vera scommessa, per il regista di origini tedesche e rifugiato in America, girare questo film. Scommessa rischiosissima, come quella che fece anche Chaplin con il suo Grande dittatore, girato nello stesso anno. Per entrambi credo sia stato molto difficile immaginare di parlare del nazismo e dell’occupazione di altri paesi in termini comici. Però sia Chaplin che Lubitsch, pur pensando di dover intervenire nella tragedia del momento, sono anche convinti di poterlo fare solo rimanendo aderenti al loro mondo, ossia con il teatro. Per questo il richiamo a Shakespeare nel titolo. Gli attori della commedia, che diventano dei veri partigiani, non tirano mai fuori un’arma vera e propria: combattono esclusivamente con il travestimento, la finzione, l’improvvisazione, con l’illusione comica. Questa è la cosa assolutamente meravigliosa del film. Lubitsch diventa un modello cui molti hanno attinto. Certo, anche se il genere si modifica nei decenni. Ma basta leggere le parole di molti grandi per capire il loro rapporto di stima e venerazione per Lubitsch. Della sua arte Billy Wilder parla come di un segreto portato nella tomba; Capra ricorda come il "Lubitsch touch" non sia stato mai più eguagliato da nessuno; Bogdanovich confessa che «se più persone scoprissero i suoi film, il mondo sarebbe più felice e ricco di speranza»; Wells parla di un «gigante». E poi ci sono le testimonianze europee: Claude Chabrol confessa come solo Lubitsch riesca a portare «lo spettatore nello stato d’animo della più perfetta beatitudine» e Jean Renoir di come abbia «inventato la Hollywood moderna». Di questa grande lezione in Italia non se ne ha traccia.Triste destino quello di Carole Lombard, proprio con un film che da noi fu titolato "Vogliamo Vivere!": non fece in tempo nemmeno a vederlo.Il film fu girato tra il 6 novembre e il 23 dicembre del ’41, il 7 dicembre gli Stati Uniti entrarono nel conflitto mondiale e lei, come molti attori di Hollywood, si era messa a disposizione per vendere buoni di guerra. Si trovava nell’Indiana. Fu fatale la decisione di rientrare a casa con un piccolo aereo. Precipitò sulle montagne del Nevada. Aveva trentatré anni. Il giorno dei suoi funerali fu l’unico, in tutta la storia di Hollywood, in cui gli Studios rimasero chiusi in segno di lutto.
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