lunedì 25 novembre 2013
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La riscossa degli umili e degli esclusi in un "allestimento" dei Promessi Sposi dove melodramma e romanzo, vita reale e finzione scenica si intrecciano, sostenendosi a vicenda. Spiazza, scarnifica, emoziona lo "spettacolo totale" che ogni sera, fino a oggi, si rappresenta nella sala Majakovskij di Lenz Teatro a Parma, nell’ambito di Natura Dèi Teatri e Bicentenario Verdiano. Protagonisti, dieci ex lungodegenti psichici, persone con disturbi mentali, attori ipersensibili che sanno strappare dalla propria anima turbamenti profondi e paure per prestarli ai personaggi manzoniani. I quali, così, tornano a vivere destando nuovi stupori. Anche la lingua del Gran Lombardo qui diventa molteplice e impura seguendo le forme della disperazione: urla strozzate, lamenti, dialettismi si mischiano con le note struggenti e potenti della Lacrimosa dalla Messa da Requiem di Verdi. Ma la parola non viene mai sopraffatta. Sembra rifiorire, quarant’anni dopo e lungo altri percorsi, la rivoluzione linguistica di Giovanni Testori nella Trilogia degli Scarrozzanti.Non esiste il palcoscenico nella grande sala dell’ex scatolificio di via Pasubio trasformato in un luogo teatrale di inevitabile contemporaneità: spettatori e attori si muovono sullo stesso piano inseguendo gli sguardi l’uno dell’altro in prospettive sempre diverse, separati solo da paratìe di tela trasparente che ripartiscono, come finestre di una basilica medievale, l’enorme spazio centrale in 6 stanze dove accadono, nella più disarmante originalità, le celebri vicende del romanzo: don Abbondio che trema di fronte alla propria ombra, il dramma di Gertrude monaca per forza, i dubbi della sventurata Lucia qui sdoppiata nel corpo e nel cuore, la conversione di fra’ Cristoforo dopo l’orrendo omicidio, l’ingenua baldanza di un Renzo operaio durante la rivolta del pane, la morte di Cecilia e il pianto vero della madre, la notte dell’Innominato, i desideri perversi e la misera dipartita di don Rodrigo. Ventiquattro situazioni drammaturgiche rafforzate da video-immagini dove i personaggi sono mostrati nella loro solitaria e cruda pazzia. «In realtà esiste solo un tracciato narrativo – precisa la regista Maria Federica Maestri – nel quale i capitoli dei Promessi sposi più che raccontati vengono suggeriti dagli attori, sempre consapevoli della loro condizione, tanto che nei testi, spesso frutto di una rielaborazione della memoria, emerge il loro drammatico vissuto: è questa la vera rivoluzione del nostro progetto».  Schizofrenici, autistici, psicotici, down: ognuno ha la sua storia di sofferenze, le sue voglie di tenerezza, le inibizioni, le ambiguità, e una rivolta interiore inespressa. Alterazioni della voce, cambiamenti di umore, silenzi improvvisi, corpi che vibrano o si rannicchiano come feti: tutto viene mostrato al pubblico, senza l’intento di provocarne la morbosità ma per avvicinarlo al Mistero che si rivela attraverso i limiti dell’umano.Un lungo e paziente lavoro è stato intrapreso per arrivare a questo risultato: «Da più di dieci anni ascoltiamo queste persone per capire noi stessi e realizzare progetti teatrali che ci fanno crescere tutti» commenta Maestri. Gli attori, dopo le serate e le prove al Lenz tornano nella casa-famiglia dove sono ospitati. Teatro-terapia? «Mah, l’esigenza di cura non deve mai apparire, altrimenti recitare non serve a niente, perciò con i nostri attori non abbiamo mai aspettative». All’allestimento hanno contribuito anche quattro attori professionisti della compagnia Rifrazioni Lenz, Francesco Pititto per la drammaturgia e l’imagoturgia, Andrea Azzali per le musiche. Ha collaborato il Dipartimento Assistenziale Integrato di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche della Ausl di Parma.
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