sabato 22 giugno 2024
Il cantante ospite al festival “Ebraica” di Roma. “Sono ebreo ma dopo anni lontano dalla fede ho sentito un richiamo”. Artista eclettico, ha recitato in “Mare Fuori”
Il cantante Raiz

Il cantante Raiz - Riccardo Piccirillo

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«Mi scusi possiamo anticipare l’intervista che ho un impegno con la mia bambina?». Volto burbero, voce grintosa e cuore d’oro, papà Raiz (al secolo Gennaro Della Volpe), leader della storica band partenopea Almamegretta, attore amato dal cinema ed ora popolarissimo in tv per la sua partecpazione a Mare fuori, oggi è tutto per la sua piccola Lea, 5 anni e mezzo. Soprattutto da quando l’amatissima moglie Daniela Chichota è mancata dopo una lunga malattia lo scorso aprile. Una donna speciale con cui l’artista napoletano ha condiviso negli ultimi anni un percorso di riavvicinamento alla fede ebraica delle origini che lo ha portato ad essere un osservante che rispetta lo Shabbat evitando di tenere concerti il venerdì sera (avvenne anche al Festival di Sanremo 2013). Raiz sarà uno degli ospiti di punta della 17ma edizione di “Ebraica – Festival internazionale di cultura” che si svolge da oggi al 26 giugno nell’Antico Quartiere Ebraico di Roma con il titolo “Visionari”, promosso dalla Comunità ebraica capitolina. Raiz con il gruppo Radicanto la sera del 25 giugno terrà il concerto “Yam Musica Mediterranea immaginaria” al Palazzo della Cultura.

Raiz, che tipo di concerto proporrà al festival ”Ebraica”?

«Innanzitutto sono molto contento perché suonerò nel palazzo in cui si trova la scuola dove mia figlia andrà in prima elementare. Si tratta di un concerto in forma acustica, che porto da tempo in tour con il gruppo Radicanto, dove attraverso i territori del Mediteraneo per raccontare storie di coesistenza. Parto da casa, dalla musica napoletana che ha dentro milioni di diverse contaminazioni, non è una musica pura, ma la musica di una città che si affaccia sul mare. Ha influenze del Mediterraeo del Sud, dell’Est e dell’Europa. Simile alla musica degli ebrei sefarditi che spesso è musica araba in ebraico, o arabo-andalusa in ebraico. Propongo questo tipo di continuità. Basta girare l’angolo per notare che abbiamo stessa voce, la stessa musica, spesso la stessa faccia.

Un messaggio importante in questo periodo di conflitti, specie quello israeliano-palestinese.

Sono concetti da ricordare specie adesso che viviamo guerre, seppur da lontano, ma che molti vivono da vicino perché hanno parenti o amici nelle zone di conflitto. Da sempre propongo con la musica di mettere insieme le diversità invece di farle scontrare, ma purtroppo l’uomo è fatto così. Vale la pena ricordargli i punti di incontro, senza tanti discorsi o con la politica, ma attraverso la somiglianza spicciola sul pentagramma. Se ci assomigliamo così tanto in musica, potremmo essere simili anche nel resto».

Lei, anche in quanto credente, cosa si augura?

«Sogno la pace, avendo la figlia piccola mi piacerebbe vederla crescere senza l’ombra della guerra o costretta a combattere la guerra. Gli artisti fanno quello che possono, ma non è con le canzoni che si cambia il mondo».

Quanto è significativo, in un momento complesso come questo, un festival che pone l’accento sulla cultura ebraica?

«La cultura ebraica, per quanto abbia avuto un enorme contributo dei laici, ha la sua radice nella Bibbia, è da li che viene, dal libro cardine fondamentale per l’Europa, per il mondo e per le costituzioni. C’è un bellissimo racconto nel Midrash: un rabbino dell’epoca talmudica incontra un centurione durate l’occupazione romana della Giudea. “Se tu mi dici in una sola frase tutta la tua Torah io mi converto” gli dice il romano. ”Non fare a un altro quello che non vorresti fosse fatto a te” gli risponde il rabbino. Questo è il cardine della nostra cultura, è la quintessenza del popolo ebraico che lo ha reso così longevo».

Sente crescere l’antisemitismo in questo periodo?

«Vorrei dirle di no, che siamo noi ebrei che abbiamo il nervo scoperto. Ma purtroppo è così. Esiste un substrato di antisemitismo da parte di una certa opinione pubblica: se non ci fosse, anche commentare i conflitti sarebbe più facile. C’è un antisemitismo spicciolo, è latente l’idea dell’ebreo subdolo, che ha diverse facce. Sarebbe più giusto analizzare tutte le sfumature dei conflitti, mettersi al tavolino riconoscendo torti e ragioni da tutte e due le parti. Ma quando senti certi commenti sul “casus belli” in Israele del tipo “quelli hanno architettato tutto” allora io non ho più niente da dire. È molto triste dover parlare di antisemitismo, a quasi 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, a persone che hanno perso parenti e antenati nella Shoah, come quelli di mia moglie».

Con sua moglie avete condiviso un percorso umano e di fede che vi ha accompagnato fino all’ultimo.

«Io e mia moglie abbiamo fatto un bel viaggio, abbiamo costruito la nostra famiglia e siamo stati uniti dalla spiritualità. Non siamo stati una coppia ortodossa secondo gli stereotipi. Io sono ebreo e ho vissuto per anni al di fuori della fede, poi mi sono riavvicinato, ho avuto una specie di richiamo. Nel percorso della crescita quando ho avuto bisogno della spiritualità, è arrivata: ho studiato con un rabbino che è un amico d’infanzia, lui mi ha fatto conoscere dei maestri più grandi. Ho fatto un percorso personale, in questo percorso ho conosciuto mia moglie, ebrea ashkenazita di origine polacca, che lavorava in quel periodo a Napoli faceva formazione aziendale per l’Alfa Romeo. Abbiamo anche vissuto diversi anni in Israele: spero che torni la pace e di poterci tornare presto».

Che rapporto ha Raiz col mondo cristiano?

«Ho tanti amici sacerdoti nel napoletano che spesso mi hanno invitato a suonare musica sacra nel periodo delle feste. E’ bello il confronto con il mondo cattolico, sono cresciuto a Napoli ed è inevitabile: con i preti napoletani ci facciamo un sacco di battute».

Prossimi progetti?

«Sto lavorando a uno spettacolo dal titolo Monte Calvario, il quartiere di Napoli da cui vengo io, e il nome ha anche un legame con Israele, con il Golgota che è stato inglobato nel Santo Sepolcro. Come Gerusalemme è fatta di strati storici sovrapposti, così anche il quartiere di Monte Calvario è pieno di roba. Voglio parlare del mio legame con Israele e uso come luogo storico i Quarteri spagnoli, il luogo di immigrazione della mia famiglia, pieno di gente diversa. Se scavi nelle radici di Napoli trovi cognomi strani che poi sono diventati supernapoletani. Perché a Napoli nessuno è straniero, è una cosa incredibile. Sarà un spettacolo “stand up” che porterò in tour nel 2025 dove racconto storie di umorismo napoletano ed ebraico, due aspetti che sono dentro di me e che trasmetterò a mia figlia. Uno spettacolo in parte autobigrafico dove racconterò anche quando mi sono trasferito con i miei da piccolo a Milano dove sono cresciuto».

Fra i tanti lavori lei ha avuto un grande successo con Mare fuori ambientato nel carcere minorile di Nisida.

«Ho scritto tre canzoni nuove per Mare fuori. Il mio personaggio, un camorrista padre di due giovani, è morto nella seconda stagione, ma chissà che può succedere nella terza... Ho fatto un laboratorio con Lucariello ad Airola, il carcere minorile di Benevento. Ma vorrei ricordare ai ragazzi che il carcere non è divertente, non è una fiction, è una cosa tosta. Sarò poi ancora in tour coi Radicanto e col progetto dedicato a Sergio Bruni cui ho dedicato un album, oltre ad altri 4 o 5 concerti con gli Almamegretta, abbiamo tanto pubblico che ci vuole bene».

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