giovedì 29 agosto 2024
In “Quiet life” del greco Avranas e nel doc “Separated” del premio Oscar americano Morris le sofferenze di migliaia di piccoli che soffrono politiche brutali di separazione
"Quiet life" del regista greco Alexandros Avranas

"Quiet life" del regista greco Alexandros Avranas

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Bambini che soffrono in tutto il mondo a causa della loro condizione di migranti, scioccati e disorientati dalle politiche sull’immigrazione che vanno dal pugno di ferro di Trump negli Stati Uniti al sistema gelido e pragmatico dell’Europa del Nord. Sono loro i protagonisti di due lavori toccanti e potenti che raccontano la difficile realtà dell’esilio dei richiedenti asilo presentati in anteprima alla 81ª Mostra del cinema di Venezia: Quiet life del regista greco Alexandros Avranas, film che si focalizza sui traumi dei figli dei dissidenti emigrati dalla Russia in Svezia, e il ficcante documentario del premio Oscar Errol Morris Separated che svela i retroscena della “tolleranza zero” del governo Trump che portò nel 2018 alla separazione di migliaia di bambini migranti dai loro genitori al confine con il Messico.

Piccoli traumatizzati, spesso per sempre, dalla perdita delle loro radici e dalla violenza evidente o sottile della burocrazia che sottende alle scelte degli Stati. «C'è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave» ha ammonito domenica scorsa all’Angelus papa Francesco. E questi due lavori veneziani non fanno che sostenere le sue parole.

Sceglie il rigore visivo per descrivere l’asettica formalità della burocrazia svedese Avranas nella coproduzione internazionale Quiet life, (Orizzonti) dove la vita apparentemente “tranquilla” di una famiglia fuggita dalla Russia e che tenta di integrarsi in Svezia dove ha richiesto asilo, tanto tranquilla non è. Il regista punta i riflettori su una sindrome sconosciuta ai più, ma che sta colpendo i bambini rifugiati dalla Russia e dai Paesi dell’Est e riscontrata per la prima volta in Svezia. La storia è ambientata nel 2018. Sergei e Natalia (Chulpan Khamatova, grande attrice russa ora rifugiata in Lituania) sono fuggiti dalla Russia dopo un attacco che ha quasi ucciso il dissidente Sergei. Si stabiliscono in Svezia con le loro due bambine, lavorano sodo, mandano le figlie alla scuola svedese, imparano la lingua. Ma quando la loro richiesta d’asilo viene respinta dall’Agenzia Nazionale per l’Immigrazione, Katja, la figlia più piccola, ha un collasso, entra in un misterioso stato di coma e viene separata d’autorità dai genitori, sospettati di manipolazione. La soluzione si troverà nell’amore vero della famiglia ricostituita attorno ai suoi valori.

«Da quando ne ho sentito parlare qualche anno fa, sono ossessionato dal fenomeno della Child Resignation Syndrome (Sindrome della rassegnazione infantile) – dichiara il regista -. Nella speranza di una vita dignitosa, milioni di bambini sono costretti a spostarsi e ad abbandonare le loro case per via di guerre, povertà o repressione politica. Ma come possono i genitori garantire protezione e stabilità ai loro figli nella consapevolezza che la realtà dei fatti è tutt’altro che ottimistica?». Il problema coinvolge tutti perché, aggiunge il regista «la guerra sembra essere tutt'intorno a noi, creando rifugiati che vengono sempre più trattati come esseri umani di seconda classe dalla società occidentale. Come sistema politico, la risposta a tutto questo è stata crescente freddezza, correttezza politica e necessità di costruire muri».

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E il muro che separa gli Stati Uniti dal Messico è al centro dell’eccellente inchiesta giornalistica americana Separated che lancia un allarme sui destini dei migranti verso gli States nel caso di una prossima rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Nel coraggioso doc fuori concorso, Errol Morris affronta uno dei capitoli più oscuri della storia recente degli Stati Uniti: le separazioni delle famiglie di migranti. Basandosi sul libro di Jacob Soboroff, corrispondente politico e nazionale della Nbc, Morris unisce esplosive interviste con funzionari e immagini televisive dello stesso Soboroff, insieme a una parte di fiction che segue le disavventure di una mamma e il suo bimbo in fuga dalla violenza del Guatemala. Con centinaia di famiglie ancora separate ad anni di distanza, il pubblico può iniziare a comprendere il ruolo del governo degli Stati Uniti in questo dramma adottato per calcolo politico dall’amministrazione Trump prima segretamente dal 2017 e poi attraverso una legge approvata nel 2018 (poi sospesa per le proteste internazionali). Infliggendo un trauma così indicibile alle famiglie (tutti ricordiamo le immagini dei bambini nelle gabbie) il governo mirava a dissuadere altri dal recarsi negli Stati Uniti in cerca di asilo. «Fare del male alle famiglie è la cosa più sbagliata dal punto di vista morale – ha spiegato Morris a Venezia -. Ma sono politiche che potrebbero riprodursi perché non c’è nessuna legge che possa fermarle. Come la tragedia dei genitori separati dai figli, impotenti. O dei figli incapaci di comprendere questa nuova vita da incubo». Le interviste includono le voci di Elaine Duke, ex capo ad interim del Dipartimento della sicurezza interna; Jallyn Sualog, un burocrate dell’Ufficio per il reinserimento dei rifugiati e l’eroe del film, Jonathan White, all’epoca un alto funzionario dell’Office of Refugee Settlement, con le sue rivelazioni bomba sugli “orfani creati dallo Stato” (circa 5500) e gli sforzi in corso per riunirli con i loro familiari.

Per il giornalista Soboroff le responsabilità sono bipartisan «perché il governo degli Stati Uniti, sotto la guida sia democratica che repubblicana, ha a lungo progettato il nostro sistema di immigrazione in modo che fosse punitivo al fine di spaventare le persone dissuadendole dall'immigrazione. Vorrei che questo doc contribuisse a cambiare la narrazione dei media sui migranti: si parla di numeri, percentuali, problemi e crimini anziché parlare delle persone. Apprezziamo invece la voce del Papa che cerca di convincere le persone a un altro approccio verso i migranti».

© riproduzione riservata

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