Una immagine suggestiva degli anni '60: Chet Baker suona da una stanza che si affaccia su piazza Duomo a Milano
«Nella sua Martin, la tromba, risiedeva la sua inquieta anima» Provaci ancora Chet. Sì, prova ancora a stregare il pubblico con la tua tromba e la tua voce struggente che intona come un lieve alito di vento When I’fall in love. Un brano che hanno cantato in tanti, ma nessuno come lui, Chet Baker. Una ventina di anni fa, Claudio Pallottini, attore e sceneggiatore, ex allievo del Laboratorio teatrale di Gigi Proietti, era partito da questa suggestione per poi scrivere Chet Baker. Una Martin’s deluxe. Un testo appassionato e autentico tributo al mito del cool jazz che sottopose al suo “Maestro”, il quale senza hesitation da ex talento anche di piano bar poi avrebbe curato la regia dello spettacolo. Una narrazione teatrale- musicale che nel 2002 per la prima volta andò in scena al Brancaccino, la sala prove del Balletto di Roma, sopra al Teatro Brancaccio, allora diretto da Proietti che aveva eletto quel piccolo spazio sperimentale a nuovo Laboratorio per giovani attori e registi al debutto. Lì sua figlia Susanna, appena tornata dal Saint Martins College, cura l’allestimento di Chet Baker, una Martin’s deluxe che si avvale di immagini proiettate e originariamente di un quintetto jazz che affianca la voce narrante. Pallottini fa raccontare la vita maledetta di Chet Baker a un personaggio di fantasia: il vecchio amico del trombettista e cantante, Daddy Dan, al quale nel tempo hanno dato voce Gigi Angelillo, Virgilio Zernix e Andrea Di Manicor. E adesso, nello spettacolo di sabato 13 e domenica 14 aprile Parco della Musica Ennio Morricone di Roma, tocca a Flavio Insinna interpretare Daddy Dan, il cameriere deluso dalla vita che ha un sogno: possedere la tromba di Chet Baker. «Sì, Daddy vuole la mitica Martin Committee deluxe, lo strumento del miglior trombettista bianco che il jazz abbia mai avuto. Perché sa che in quella tromba risiede l’anima del genio, l’unica cosa che Chet non era riuscito a rovinare lungo tutta la sua durissima esistenza», spiega Pallottini che con questo spettacolo vuole rendere omaggio anche al “Maestro”, di cui ha appena pubblicato una biografia affettuosa quanto monumentale: Gigi Proietti. Insegnamenti e chiacchiere sul teatro, sull'attore e su altre amenità (Carocci).
Il regista Gigi Proietti fu stregato dalla voce di Chet
«Ricordo che quando stavamo preparando lo spettacolo Gigi mi chiese di portare qualche brano di Chet per potere scegliere quelle sonorità giuste che inframezzassero la parte recitata. Appena sentì When I’fall in love sgranò gli occhi e mi disse: “Ma questo era un padre eterno! Senti, senti qua che intonazione…”. Gigi era entusiasta anche del testo, perché gli ricordava quello stesso spirito di genio e sregolatezza che aveva trovato in Edmund Keane, uno dei suoi cavalli di battaglia». Ma in Pallottini, che è riuscito a convincere Insinna a tornare in scena, da dove nasce questa fascinazione tutta “Laboratoriale” per Chet? «Quando ero alle scuole medie un compagno di classe abitava a Monte Mario nel palazzo proprio dove per un periodo risiedeva Chet Baker. Era il 1981 e quando uscivamo da scuola il nostro divertimento era appostarci sotto la finestra di quello che con un certo timore chiamavamo “il drogato”. Una sorta di sfida adolescenziale verso quel mondo di tossici e di artisti maledetti che ci affascinava, in quanto distante anni luce dalla normalità delle nostre vite familiari. Avvicinarli era un atto di coraggio. Un giorno vedemmo apparire nelma la stanza di Chet una donna e un “nano” e le nostre fantasie a quel punto cominciarono a girare a mille. La donna non so chi fosse, mentre il “nano” poi scoprii che era uno dei più grandi pianisti jazz, Michel Petrucciani ». Ricordi di scuola che con il tempo sono diventati appunti d’autore, per un biopic teatrale in cui la musica del quartetto, composto da Claudio Corvini (tromba) , Stefano Canterano (contrabbasso), Errico Bracco (chitarra) e Marco Valeri (batteria), la fa da padrona. Nello spettacolo eseguono 25 brani di Chet. Da Goodbye a Everithing happens to me che è una delle preferite di Woody Allen che l’ha voluta in Un giorno di pioggia a New York, in cui piazza al pianoforte e la fa eseguire all'astro di Hollywood Timothée Chalamet. «Io di Chet adoro My funny Valentine, e nonostante i superstiziosi l’abbiano marchiata come canzone che “porta sfortuna”, continuo a considerarla semplicemente meravigliosa».
Storia di un maledetto geniale
La fortuna non ha certo aiutato Chet Baker e la sua perenne maledizione è diventata letteratura, quando spesso leggenda metropolitana. «Sono tornato al bar di Monte Mario dove il barista ricorda ancora i risvegli affannosi di Chet che correva da uno spacciatore all’altro di piazza Guadalupe: al mattino gli davano lo lo Speedball, un mix letale di coca e eroina. Nonostante abbia inciso tantissimi dischi, è morto povero in quella camera d’albergo di Amsterdam dove non sì sa se fu suicidio o venne ucciso... Chet rinunciava ai diritti d’autore e prendeva al volo gli anticipi che gli servivano per non finire ammazzato di botte dai suoi aguzzini che a San Francisco gli spaccarono i denti impedendogli di suonare. Il cuore generoso di Dizzy Gillespie gli pagò le spese del dentista e così poté ricominciare a girare il mondo con la sua tromba ». Quell’oggetto del desiderio di Danny Dan che attraverso la voce di Insinna riporta Chet a Roma e in Italia. Noi italiani, jazzofili e non, abbiamo conosciuto Chet Baker nel 1960 quando apparve tra Mina e Celentano e i ragazzi del Juke-Box nel film Urlatori alla sbarra di Lucio Fulci. « È storia del cinema la scena in cui Chet suona la tromba sdraiato nella vasca da bagno - dice Pallottini - . Mi ha raccontato un musicista che quando girava quel film Chet all’improvviso sparì per due giorni, aveva lasciato la tromba lì sul set e quindi tutti sapevano che era come se avesse messo il biglietto con su scritto “torno presto”». Quella tromba magica nello stesso periodo si fece largo nel buio del Santa Tecla, il tempio del jazz milanese dove il maestro Renato Sellani tutte le sere con il suo pianoforte allietava il pubblico in sala, «D'un tratto ho sentito che quella tromba era proprio dietro di me – raccontò Sellani ad Avvenire Mi voltai e vidi la faccia inconfondibile di Chet Baker. Provai un brivido lungo la schiena giusto il tempo di realizzare che non si trattava di un'allucinazione. Il giorno dopo alle 10 eravamo in studio a registrare in trio, all'indomani in quartetto, poi in sestetto e infine con l'orchestra ». Ne uscì un disco da antologia Chet in Italy.
Amato dall'Italia che lo fece prigioniero
L’Italia per Chet fu l’abbraccio caldo del popolo che lo amava, perché era capace di improvvisare concerti gratis dal balcone della stanza d’albergo che lo ospitava. Ma da noi conobbe anche la prigione: arrestato a Lucca per uso di stupefacenti. Domenico Manzione ne Il mio amico Chet (Pacini Fazzi Editore) scrive che uno dei padri del jazz italiano, il clarinettista Hengel Gualdi, la notte di Natale del '60 portò i suoi amici musicisti, - gli “sbudellati di Bologna” come li chiamava il chitarrista Jimmy Villotti - a Lucca, a rendere omaggio al grande Chet Baker sotto al carcere San Giorgio». Chet era l’amico fragile di quell’universo di jazzisti e di musicisti italiani con cui entrò in contatto per delle collaborazioni uniche, quanto straordinarie, con Ezio Leoni e Ennio Morricone con il quale comporrà Chetty’s Lullaby. «Noi nello spettacolo abbiamo inserito Gassmann Blues che è nella colonna sonora de I soliti ignoti di Mario Monicelli. Quel brano Chet lo compose con un altro grande autore di musiche per film quale è stato Pietro Umiliani». Dopo Proietti, idealmente entra in scena anche Gassmann, e allora l’ultimo colpo di teatro sarebbe l’apparizione del vero Chet. «Stava per arrivare la sua tromba – dice ridendo Pallottini - . Un signore saputo dello spettacolo mi ha telefonato per dirmi che lui ha una Martin che era appartenuta al grande jazzista americano. Ma Claudio Corvini che Chet lo ha conosciuto e ci ha suonato assieme mi ha detto: “Ma sai quanta gente c’è in giro che ha una tromba di Chet? Tantissima”. Sì perché ogni volta che era in bolletta per via del suo vizio vendeva la vecchia tromba e appena incassava i soldi di qualche disco o concerto andava subito a ricomprarne una nuova». Fino a quel maggio del 1988, in cui 58enne già stanco e consumato, volò giù dal balcone di uno stupido hotel, la storia di Chet Baker è stata tutta una messa all’asta della propria anima, la sua tromba. Perché solo con quella sapeva che avrebbe potuto riscattare un dolore indicibile con attimi di eterno da regalare al suo pubblico, al quale aveva confessato: «Solo suonare la tromba e cantare, questo è la mia vita fino a che non può respirare».