Gli anni passano, la televisione cambia (o cerca di cambiare) ma alcuni volti continuano a rimanere nel cuore del pubblico e negli ascolti dell’Auditel. Capita, ad esempio, con Gigi Proietti che torna stasera su Rai 1 con la terza stagione della fiction Una pallottola nel cuore e che, prossimamente, potrebbe tornarci anche con una nuova edizione dello suo show Cavalli di battaglia, proposto con successo lo scorso anno.
Proietti, il direttore di Raiuno Angelo Teodoli ha detto che lei è la storia della Rai, che ha le chiavi della rete e può entrare quando vuole. Questo significa che sarà lei a decidere se riproporre o no i suoi Cavalli di battaglia?
«Che le devo dire? Al momento i cavalli stanno nella stalla. Però è vero che mi piacerebbe rifarlo perché, nonostante la grande fatica, mi sono divertito molto».
Per ora il pubblico dovrà accontentarsi di Una pallottola nel cuore 3 che, tra l’altro, inizialmente lei non era convinto di voler fare.
«So di averlo già detto, ma io ormai vorrei fare, come si dice a Roma, “più poco”. Per Una pallottola nel cuore 3 avevo detto che serviva un’idea forte. E gli sceneggiatori l’hanno trovata, siamo riusciti a bilanciare al meglio il giallo e la commedia. Le dico la verità: quando abbiamo iniziato a lavorare a questa serie, non avrei immaginato che potesse essere così fertile. Io, poi, interpreto un giornalista, esponente di una categoria non particolarmente amata nelle fiction, forse perché è difficile identificarcisi. Con medici, carabinieri e preti, invece, vai sul sicuro».
Eppure il suo Bruno Palmieri, vecchio cronista di nera, ha conquistato gli spettatori.
«Ha visto? Abbiamo dato una mano alla vostra categoria! A parte gli scherzi, non ho la chiave del successo di questo prodotto. Se ne esistessero, nessuno sbaglierebbe più. Penso che Palmieri piaccia perché è un giornalista che lavora sui cold case, i casi irrisolti, ed è uno che vuole davvero trovare la verità. Chissà quanti, tra il pubblico, sentono di aver bisogno di verità. E, poi, non è un eroe: è un uomo con una vita normale, anche se di questi tempi avere una vita normale è qualcosa di eroico».
Ha mai pensato di fare il giornalista?
«È un mestiere che non avrei mai potuto fare. Per fare il giornalista serve un bel fegato e io, invece, avrei avuto sempre paura di disturbare».
Mi sta dicendo che la sto disturbando?
«No, per carità! Dico solo che non sarebbe stato un mestiere adatto a me, soprattutto occupandosi di cronaca nera come fa Palmieri. Per non parlare delle litigate che mi sono fatto in passato con certi critici… Con il tempo siamo diventati amici, ma non è facile accettare una stroncatura, soprattutto all’inizio della carriera».
Legge i giornali?
«Sì, leggo i quotidiani e qualche inserto che trovo particolarmente interessante».
In questi ultimi tempi i giornali non stanno trattando molto bene la sua città, Roma.
«Come tutti i romani, non sono contento delle condizioni in cui si trova Roma in questo periodo, sempre più nervosa e frettolosa. Non stiamo parlando di una città come le altre, avrebbe bisogno di un grande progetto internazionale, di risorse eccezionali. E, invece, si fa poco anche se va detto che negli ultimi tempi qualcosa è stato fatto e qualche buca è stata tappata. Detto questo, però, non mi piace che si ironizzi su Roma. Per quel che mi riguarda non potrei vivere in nessun altro posto e ho fatto per la mia città quello che potevo: ho aperto tre teatri, non mi sembra poco».
Uno di questi è il Globe Theatre che, dal 2003, propone Shakespeare nella suggestiva cornice di Villa Borghese.
«Centinaia di giovani vengono, si siedono per terra e guardano Re Lear o La tempesta e imparano che Amleto non è solo “essere o non essere”. L’altra sera, sotto una pioggia torrenziale, ce n’erano cinquecento. Il Globe, che chiuderà la stagione il 15 ottobre, è una scommessa vinta. Faccio questo mestiere da cinquantatré anni e ogni volta che parlavo di Shakespeare mi guardavano tutti perplessi. Il successo del Globe certifica che ci fidiamo troppo poco del pubblico. Poi, certo, il successo di un teatro dipende anche da come accoglie il pubblico: il Globe, con il suo legno, è molto accogliente. E, poi, diciamolo: in estate Roma non offre molte alternative».
Torniamo alla televisione. In Una pallottola nel cuore lei interpreta un giornalista che si occupa di cronaca nera: cosa pensa dei programmi che la propongono a tutte le ore del giorno, infischiandosene spesso delle fasce orarie protette?
«Non credo che la rappresentazione del male sia possibile né che mostrando storie violente in tv queste possano diventare un “esempio” per qualcuno. E, comunque, dipende dalle circostanze. Se una storia è forte e c’è davvero bisogno di mostrare un’immagine, va bene. Se, invece, questa non è necessaria, il discorso cambia: se si è in malafede non va più bene».