C’era una volta il campionato più bello del mondo, la Serie A. Ma quella volta chi se la ricorda più? Chi osserva il mondo del calcio da un oblò, ritiene che abbiamo smesso di essere il torneo più invidiato d’Europa dall’estate del 2001, quella del passaggio dalla Juve al Real Madrid di Zinedine Zidane. Un ponte d’oro da 150 miliardi di vecchie lire per Zizou , l’ultimo vero grande re d’Oltralpe ad aver calcato i campi italiani. Campi da tempo colonizzati dalla legione straniera che nella scorsa stagione contava il 54% dei tesserati della massima serie, e in quella che sta per cominciare (oggi alle 18 la prima è Chievo-Juventus) il dato, preoccupante, non accenna a diminuire in favore del prodotto nostrano, anzi. Il triste primato spetta all’Inter con il 92,2% del monte ore lavorative ad appannaggio dello stranierificio dipendente dall’indonesiano Thohir. E state certi che quel record i nerazzurri lo conserveranno: basta sfogliare la formazione tipo della stagione alle porte (2014-2015) per vedere che nell’11 base di Walter Mazzarri figura un solo italiano, il difensore Andrea Ranocchia. E agli ultimi mondiali, Ranocchia era il 24° azzurro nella fallimentare Nazionale di Cesare Prandelli. Dopo la figuraccia brasiliana, per capire quanto siamo scivolati in basso andare alla voce ranking Fifa: l’Italia è al 14° posto, con davanti la Grecia e subito dietro i nostri castigatori della Costa Rica. Con il “maracanazo” italiano, era scattata l’emergenza nazionale con l’appello a rifondare il nostro calcio dalla base, dando più spazio ai giovani dei vivai. Parole, parole, parole, proclamate da un sistema sconnesso con il Paese reale del pallone. Con le dimissione immediate del presidente della Figc Giancarlo Abete e del ct Prandelli si era parlato di governo del calcio affidato a volti nuovi e di conduzione del "progetto tecnico" sobria e contenuta, specie nei costi. Risultato finale: presidenza della Federcalcio all’ex principe dei dilettanti, il 71enne Carlo Tavecchio e Nazionale completameente nelle mani del ct esule volontario dalla Juventus, Antonio Conte, con stipendio “agghiacciante” che la Puma e noi contribuenti gli erogheremo per guidare la Nazionale fino a Euro 2016. A lui ora l’onere e l’onore di pescare il meglio che c’è da quel 46% di prodotto interno, molto lordo. Non è detto che sia un male per il nostro campionato, ma ai nastri di partenza va comunque registrata l’ennesima perdita del capocannoniere della passata stagione, quel Ciro Immobile scartato dalla Juventus e poi dal Genoa, rinato a suon di gol (22) nel Torino e che ha preferito il Borussia Dortmund e la Bundesliga al Belpaese del calcio che fu. «E’ stato un errore tornare in Italia», così ci ha appena detto ciao anche Mario Balotelli, il più grande talento e per ora anche il più grande bluff - internazionale - espresso nell’ultimo miserando lustro. Se ne torna in Premier, a Liverpool, lo scapestrato Marione ex cuore milanista che, nonostante a Brasile 2014 sia stato visto in mondovisione “ciccare” anche il più semplice degli stop, grazie ai buoni intrallazzi del suo procuratore-pizzaiolo Raiola, ha appena firmato un contratto da 6 milioni di euro l’anno. Una cifra folle, che suscita l’umana e comprensibile invidia, oltre che un surplus di disperazione, in quei 30mila calciatori professionisti che nel triennio nero 2010-2013 sono stati licenziati (da club falliti, spariti e a volte rinati sotto nuove o mentite spoglie). La maggior parte di loro per continuare ad esercitare il mestiere hanno accettato di giocare nelle categorie minori, molti si sono rassegnati al dilettantismo, in tanti hanno chiuso con il pallone e, nel mondo del lavoro che non c’è, si sono ritrovati doppiamente disoccupati. Uno scenario reale, quanto catartico, distante anni luce dai riflettori di uno stadio Olimpico o di San Siro che stanno per riaccendersi. Lo spettacolo sta per cominciare, ma sulla carta l’offerta - a parte quella televisiva che monopolizza il 65% degli introiti delle società - è nettamente inferiore a quella proposta dai teatri dei sogni di cuoio inglesi, spagnoli e tedeschi. Lì il 99% dei club possiedono stadi di proprietà, mentre noi siamo appesi a una legge virtuale e fermi alla cattedrale nel deserto dello Juventus Stadium di Torino, all’ex Giglio di Reggio Emilia, ora Mapei Stadium e casa del Sassuolo del signor Confindustria Squinzi, mentre di prossima consegna si segnala il ristrutturato nuovo Friuli dell’Udinese di patron Pozzo. Tra tanti prestiti e giocatori arrivati a costo zero, da noi si rivedono solo cavalli pazzi di ritorno come Menez (Milan) e vecchi purosangue all’ultima corsa, vedi Vidic (Inter), Cole (Roma) ed Evra (Juventus). Tutto il resto è noia. Ci si stupisce solo quando la Roma spendacciona (Pallotta-Sabatini, occhio al fairplay finanziario) acquista l’argentino del Verona Iturbe per 22 milioni, che è poi l’equivalente di quello che Cristiano Ronaldo e Messi guadagnano in Spagna in una sola stagione. Nessuno straniero di talento è così pazzo da scegliere ancora l’Italia per venire a svernare, e quei pochi che rimangono hanno già pronta la valigia per la prossima meta, lontana da qui.Non ci resta che piangere assieme al Napoli di Benitez che è già fuori dalla Champions. O forse possiamo ancora provare a sperare che la Juve di Allegri faccia meglio di quella di Conte e che al centro del villaggio europeo ci possa tornare assieme alla Roma di Garcia. Che magari l’Inter riprenda la via per un futuro da "triplete" e che il Milan del debuttante mister Pippo Inzaghi sia una riproposizione della rivoluzionaria e preistorica era sacchiana. Ci piace immaginare a bocce ferme che il “tiki-taka” della Fiorentina di Montella possa arrivare fino in fondo alla corsa-scudetto, magari con un Cuadrado che restando in viola dia un segnale forte a quei giovani campioni che all’estero ci guardano con giustificata diffidenza. Che a Cagliari, dopo Foggia e Pescara, sia memorabile anche il terzo atto di Zemanlandia e che l’ex "allenatore ragazzino" Stramaccioni non sia stato soltanto un capriccio dell’Inter di Moratti, ma all’Udinese si riveli un autentico condottiero, degno protagonista in quel che resta di questa povera terra straniera chiamata Serie A.