La scrittrice uruguaiana Carmen Posadas - WikiCommons
Protagonista di La leggenda della Peregrina (traduzione di Sara Cavarero; Rizzoli, pagine 460, euro 18,50) è una perla, una magnifica grossa perla oblunga con alla base un segno a forma di croce. Un oggetto prezioso da molti amato, ambito, rincorso, bramato. Sfoggiato sui corpi e sugli abiti di personaggi illustri attraverso i secoli. La perla arriva nelle mani di Filippo II re di Spagna da uno schiavo che l’ha fortunosamente recuperata nelle acque del Golfo di Panama, e dopo allora il suo è un viaggio attraverso il tempo della Storia, periplo avventuroso e di indubbio valore attrattivo per un narratore. È, come si dice, buona 'materia da romanzo', che l’uruguaiana Carmen Posadas riesce a organizzare costruendo un lungo racconto fluido e di facile lettura, godibile soprattutto per appassionati di narrazioni ibride, mosse, con io narranti che cambiano e mutano nei secoli, e una densità e varietà di vicende dalla cui rapida e cangiante successione talvolta la mente del lettore può sentirsi leggermente sopraffatta. Il racconto è un cameo, cesellato di excursus storici ampi e molto vari: dai regnanti di Spagna, via Giuseppe Bonaparte, approda al cuore della storia francese e dei re di Francia. Racconto vasto tanto quanto dettagliato (qua e là l’affondo narrativo si concentra su specifici frangenti distribuiti lungo l’asse della Storia) al cui centro, rilucente di fascino e mistero, sempre sta la perla. La quale agisce un po’ come fa lo specchietto nella celebre definizione stendhaliana di 'romanzo': ovvero come dispositivo riflettente che il narratore deve tenere tra le mani per poter procedere sulle strade del mondo e poterlo così raccontare. Un talismano e al tempo stesso un ricettore e ripetitore a tutto tondo di ogni forma di realtà circostante. In maniera analoga, passando di mano in mano (di collo in collo, meraviglioso monile) la perla Peregrina attraversa i secoli, irraggia bellezza nel mentre centripeticamente fa sì che tutto su lei converga, trovi forma, valore, contenuto, senso del racconto. L’idea non è nuova: lo scrittore statunitense Don DeLillo creò nel 1997 uno straordinario romanzo, Underworld, il cui protagonista era una palla da baseball, lì anche, espediente narrativo costante e trasmigrante lungo un ampio arco di tempo e metafora di un’America in trasformazione considerata e riletta attraverso i decenni grazie al permanere e trasmigrare dell’oggetto. Qui, attraverso un ideale 'rotolare' diacronico e diastorico di una perla anziché di un palla, dalle diverse reggenze di Spagna si giunge anche, 'metamondo' parallelo, all’universo degli artisti. Pittori ( Velazquez e Goya), cantanti lirici (Farinelli alias Carlo Broschi) sino a Rasputin, al suo assassino principe Jusupov e al mondo degli agenti segreti inglesi, e a un’asta dove a venire offerta in palio è di nuovo lei, 'la perla più famosa di tutti i tempi'. Corre la Storia, i suoi molti rovesci si avvicendano legandosi a un singolo oggetto prezioso, in una corsa narrativa a perdifiato. Qua e là l’unità romanzesca si perde di vista e un poco sfugge il senso di un’operazione letteraria del genere; ma è disorientamento letterario, che nulla toglie a un intrigo di vicende senza dubbio appassionante, emblematico di un vasto angolo della Storia e delle private, segrete vicende di cui essa sottotraccia è intessuta.