sabato 6 dicembre 2014
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​Quanto vale un disco d’oro al cambio attuale? Venticinquemila copie. Solo un anno fa erano trentamila. La crisi non molla il mercato della musica registrata e così in Italia oggi bastano centomila copie vendute per raggiungere il disco di platino e cinquecentomila per centrare quello di diamante. In America platino significa ancora un milione di copie ma, se non fosse stato per 1989 di Taylor Swift, nel 2014 nessun artista singolo avrebbe raggiunto la fatidica soglia. Fino a tre settimane fa, infatti, l’unico best-seller milionario dell’annata era stato la colonna sonora da Oscar di Frozen, blockbuster a cartoni animati della Disney, e prima dei bilanci annuali, al top era la giovane cantante Lorde con 750 mila pezzi venduti. Decisamente troppo poco per i numeri a cui il mercato americano era abituato. Secondo l’International Federation of Phonographic Industry nel 2013 il mercato mondiale della musica registrata ha mosso complessivamente 15 miliardi di dollari, con un calo del 3,9% rispetto all’anno precedente. Tenuto conto che nel 2003 il valore globale era 32 miliardi di dollari, il crollo nel decennio è stato del 52,14%. Certo, il dato del digitale è in crescita (+4,3%) e lo streaming ha conosciuto un’impennata addirittura del 51% ma i guadagni della musica liquida sono lontani dal compensare le perdite di quel supporto fisico. «Il balzo in avanti dello streamingdimostra che nei consumatori di musica oggi l’esperienza di ascolto è dominante rispetto a quella di possesso» ammette Marco Alboni, presidente Warner Italia, una delle tre major del mercato mondiale. «Spesso l’ascolto non è isolato: passare l’auricolare all’amico, regalare download, farsi una playlist e condividerla con quanta più gente possibile è diventata pratica comune». Ma il business continua. «L’industria della canzone oggi guadagna dalla vendita del supporto fisico, dal download, dallo streaming e da molte altre linee di ricavo». Per gli artisti un input sempre più prezioso è quello che, attraverso la rete, arriva dal basso, consentendo un coinvolgimento diretto del pubblico. Questo avviene per lo più attraverso due mezzi: il crowdsourcing, ovvero lo sviluppare idee assieme ai fans, e crowdfunding, farsi finanziare nuovi progetti direttamente da loro. L’israeliana Noa ha pagato le registrazioni del suo ultimo cd Love medicine con il crowdfounding e lo stesso hanno fatto in passato artisti come i Pish, i Black Rebel Motorcycle, i Marillon (Anoraknophobia addirittura nel 2001), mentre Peter Cincotti per raccogliere fondi da destinare alla realizzazione del suo nuovo album A long way from home s’è concesso a una serie di iniziative che vanno dal semplice pre-ordine del disco fisico (magari autografato) alla telefonata a parenti o amici e su su fino all’opportunità di far comparire il proprio nome nel testo di una delle nuove canzoni e addirittura di farsi cucinare una cena all’italiana dallo stesso artista. Tutto dietro compenso. «La rivoluzione digitale, continua a modificare le nostre vite» prosegue Alboni. «C’è chi si inventa le app come Bjork, chi vara partnership col mondo della tecnologia e divide gli album in due parti come gli U2, chi vende in rete i singoli e poi li riunisce in un album come Vasco Rossi. In questo cambia pure il ruolo della discografia. Con l’investimento che prima serviva a promuovere un singolo, oggi un’azienda promuove un intero album. Ecco perché l’artista e la qualità del suo repertorio tornano ad essere centrali. Gli U2 regalando attraverso Apple il loro ultimo album Songs of innocence, 81 milioni di “download”, hanno compiuto una mossa estrema. Ma la strada l’avevano già aperta nel 2007 i Radiohead, mettendo in vendita il loro In rainbows su internet ad offerta libera; una clamorosa operazione di marketing a costo zero. Oggi il successo commerciale di un artista si misura pure in comunicazione e nell’attitudine a generare una interazione, una continuità, con il consumatore». Con il moltiplicarsi dei modi di ascoltare musica – dischi, radio, internet, streaming – a decidere il successo di un artista non è più tanto l’hit-parade quanto il live. I concerti. «Oggi per ogni cd venduto si vendono quattro-cinque biglietti per i concerti» spiega Roberto De Luca, amministratore delegato Live Nation Italia, una delle più importanti multinazionali dello spettacolo. «Il web che ha affossato la musica su supporto, per il mondo del live s’è rivelato provvidenziale. I click, infatti, offrono ai promoter un polso costante della popolarità e delle potenzialità di richiamo di ciascun artista. Quando Meghan Trainor colleziona 169 milioni di click, ad esempio, vuol dire che ha una solida fan base pronta a seguirla pure dal vivo e questo stimola investimenti sulla tournée. Ma il web non dà sempre indicazioni esatte. Soprattutto per gli artisti che abbracciano un pubblico molto ampio e intergenerazionale. Indubbiamente con teen-idoltipo One Direction o 5 Seconds of Summer è tutto molto più semplice».
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