Il fatto è che, dopo i Beatles, la musica cambiò. E i fermenti di novità sparsi dai Fab Four liberarono la creatività di tantissimi, sino a far divenire le hit degli anni 70 uno sterminato elenco di nuovi linguaggi. Quelli d’autore che si declinavano da noi fra Gaber, Branduardi, Guccini, Bennato, Baglioni. Quelli dei grandi interpreti, da Mia Martini a Gabriella Ferri. Ma soprattutto quelli direttamente discendenti dai Beatles, quelli dei gruppi. Jethro Tull e Deep Purple, Emerson Lake & Palmer e Genesis, Pink Floyd e Led Zeppelin e, da noi, Orme, PFM, Banco… e i Pooh. I quali negli anni 70 innestarono alla melodia nostrana la ricerca tra rock e musica colta di gente come Jon Lord, aggiungendovi la poesia d’autore di Valerio Negrini. E diventando, appunto, i Pooh: o, come scrissero allora, «i Beatles italiani».
Come possiamo definire gli anni ’70 della musica?Il decennio della creatività. E dei gruppi: che hanno cambiato la musica fino ai Police. Se ci si pensa, ogni gruppo americano o inglese intendeva la musica in un modo suo, che era di solito totalmente nuovo.
E che i Pooh trasportarono nella storia italiana…In conseguenza di quell’esempio. E però se sul piano del rock avevano più cultura loro, per riferimenti colti eravamo migliori noi, non solo noi Pooh. La PFM, il Banco: gruppi capaci di scrivere vere opere.
Oggi voi siete in tour con l’orchestra, il Banco riedita “Darwin!”… L’hanno capito tardi, quel mondo?Il pubblico italiano veniva dalla Pavone e Morandi, era normale. La critica però era meno giustificata.
A proposito. Quanti danni ha fatto la critica ideologica di quel decennio, con le equazioni grande successo/poca qualità e impegno politico/bravura?Fu una moda dai danni pazzeschi. Tarpò le ali a chi avrebbe potuto col successo investire in ricerca. E molti non ascoltavano neppure, chi aveva successo. Noi abbiamo tenuto duro ma non saremmo qui se non avessimo scritto canzoni forti. Allora bastava fare il pugno per essere sopravvalutati. E in troppi si schierarono anche se la musica non può né deve avere colore politico. Senza considerare l’incoerenza che anche chi faceva il pugno, a fine concerto passava alla cassa…
Ma c’era veramente uno stacco fra musica impegnata e non?Macché. Pensi che De Gregori e Baglioni, amicissimi, venivano a vederci suonare. Col cappuccio per non farsi riconoscere. Qualche giorno fa abbiamo rivisto Francesco: ci ha detto «Ci siamo frequentati poco ma vi ho sempre stimato». In quegli anni fra l’altro volle l’Hammond di Roby e Red andò a vedere come lo adoperava. Fu proprio la sera che gli invasero il palco per fargli un processo politico, al Palalido di Milano. Fu Red a portarlo via e condurlo all’hotel: dove rimase in silenzio, sotto choc, per ore… E poi Finardi ha fatto il tecnico del suono in un nostro tour, e Dalla lo facevamo suonare con noi, anche in occasioni importanti, quando non era nessuno. Facevamo blues: con le sue svisate di voce e clarinetto.
Anche la polemica che occupò le riviste per mesi tra i fan vostri e quelli di Renato Zero era artefatta?Era indice della comune opportunità di arrivare al cuore di tanti: in quegli anni chi aveva successo giungeva davvero alle masse. E lì noi e Renato incontravamo il favore di gente diversa, ovviamente. Ma a Riccione facevamo notte chiacchierando…
Quanto contarono per la musica italiana dei 70 produttori come Massara, Lucariello, Micocci, Melis?Permisero di voltare pagina: i padroni delle major puntavano sullo sfruttamento di gente come Rosanna Fratello. Senza loro ed etichette tipo la Cramps, non ci saremmo noi e non avremmo avuto un Demetrio Stratos, la cui ricerca vocale va rivalutata.
È lui il grande sottovalutato degli anni Settanta?Lui e gruppi con meno fortuna di noi. Balletto di bronzo, Rovescio della medaglia, Nuova idea. Ma pure i New Trolls avevano preparazione, impatto, idee: motivi caratteriali hanno impedito loro di dare di più.
Alla fortuna dei Pooh quanto ha dato invece la penna di Valerio Negrini, scomparso a gennaio?Ci ha fatto diventare diversi, quasi cantautori. Per noi anche la parola doveva essere protetta come la musica. Valerio non faceva politica né voli pindarici: aveva coscienza, raccontava la vita. Come forse fa solo Battiato, fondeva poesia e modernità musicale.
Tutto bello, dunque, negli anni 70 della musica?No. Ci fu pop patinato che faceva il verso alla parte più commerciale di gente come noi stessi. L’arrivo dalla Germania della musica di Moroder per Donna Summer fece virare su un pop ballabile, anche di qualità, ma togliendo attenzione ai testi. E poi c’era differenza, fra chi si ispirava a Beatles o Genesis e chi li copiava, come oggi tanti ragazzi fanno coi rapper americani. Difetti di pronuncia compresi…