Piccole tessere di un mosaico che va ricomponendosi, restituendo pienezza a un’immagine purtroppo svilita da discutibili ricostruzioni storiche. Dopo il convegno tenutosi a settembre a Roma con l’udienza di Benedetto XVI, la Pave the Way Foundation di New York, presieduta da Gary Krupp, esponente ebreo, rivela diversi documenti che attestano l’impegno di Pio XII verso gli ebrei perseguitati dai nazisti, nonché la sua simpatia per il popolo israelita risalente a quando Pacelli era nunzio in Germania. Circa 300 pagine, provenienti dall’Archivio segreto vaticano e rinvenute dallo studioso tedesco Michael Hesemann, mostrano che non vi siano appigli per definire Pacelli «il Papa amico di Hitler», come una certa vulgata attesta, dall’opera di Rolf Hochhuth Il Vicario in poi. Il documento più importante diffuso da Pave the Way è un passaggio del «Memoriale delle Religiose Agostiniane del Ven. Monastero dei SS. Quattro Coronati di Roma». In cui – vedi il testo qui a fianco – è lapidaria l’attestazione che fu Pio XII a chiedere ai conventi, alle istituzioni religiose, finanche agli istituti di clausura, di ospitare gli ebrei minacciati dalla «più nera barbarie». L’annotazione è di una cronista anonima del monastero claustrale che registrava gli eventi della comunità monastica: al novembre 1943 risale l’indicazione dell’aiuto da prestare agli ebrei verso cui si è scatenata «una guerra spietata». «Questo è certamente un documento importante ». Interpellato per un giudizio, padre Peter Gumpel, gesuita e insigne storico, relatore della causa di canonizzazione di Pacelli, non ha dubbi: «Io ho vissuto sotto il nazismo in Germania e in Olanda. So bene come, in periodi come quelli, un regime totalitario abbia spie dappertutto e tutti siano restii a mettere nero su bianco qualsiasi cosa. Molte cose non si facevano nemmeno per telefono, ma solo a tu per tu. Questo avvenne anche dopo il 16 ottobre 1943 (inizio dei rastrellamenti di ebrei a Roma, ndr). Non furono mandate carte scritte dal Vaticano, ma dei sacerdoti andavano nelle case religiose a dire: il Papa vuole che si dia rifugio ai perseguitati politici e agli ebrei». Per questo motivo, essendo rarissimi gli scritti che riferivano di salvataggi di soggetti perseguitati dai nazisti, il diario delle Agostiniane ha notevole valore: «C’è stato qualche nemico della Chiesa che ha detto: siccome non ci sono ordini scritti di Pio XII di salvare gli ebrei, vuol dire che non l’ha fatto – argomenta padre Gumpel –. Ma è la stessa motivazione con cui lo studioso David Irving ha negato la Shoah, ovvero che non esiste un documento firmato da Hitler che attesti lo sterminio degli ebrei; e quindi l’Olocausto non sarebbe avvenuto... Questo delle Agostiniane è uno dei pochi casi di testimonianza scritta della volontà di Pio XII di aiutare gli ebrei». Tra le carte rese note da Pave the Way vi sono poi documenti diplomatici che confermano l’avversione di Pio XII a Hitler e la sua vicinanza al popolo ebraico. Già nel 1917 – come dimostra un appunto di Pacelli, allora delegato vaticano in Germania – egli si faceva latore della richiesta di Benedetto XV presso il governo tedesco perché questi si interessasse dell’«incolumità luoghi e popolazione giudaica in Gerusalemme». Pacelli poi intervenne presso il Pontefice perché incontrasse Nachum Sokolov, rappresentante dell’Organizzazione mondiale sionista. Risale al 1939 un memorandum del console americano a Colonia che riferiva al governo di Washington sul «nuovo Papa», Pio XII, descrivendolo come persona fermamente contraria al regime hitleriano. Sempre Pacelli, in qualità di segretario di Stato, intervenne in Polonia quando il governo sancì una norma discriminatoria verso gli ebrei e le loro pratiche alimentari: come attesta una missiva del 21 maggio1938 al cardinale Tisserant, segretario della Congregazione per le Chiese orientali, il futuro Pio XII fece muovere il nunzio, monsignor Cortesi, perché Varsavia non proseguisse il progetto.