Ci sono dipendenze e dipendenze. Quella più subdola non riguarda droghe, alcol o gioco, ma si annida spesso dentro di noi e facciamo fatica ad ammetterla. È la dipendenza dal successo, che si esprime per lo più sotto forma di ricerca di potere, denaro o notorietà. Una tesi sostenuta nel suo ultimo lavoro dalla psicoterapeuta Paola Versari, docente invitata all’Università Auxilium di Roma, formatasi alla scuola di Logoterapia e analisi esistenziale di Viktor E. Frankl. Si chiama L’inganno del successo (Ares, pagine 144, euro 15) il saggio che diventerà presto anche una performance coreografica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. È un testo che fa riflettere visto che spesso basta un pugno di like per continuare a rimanere prigionieri di noi stessi, incapaci di trovare uno scopo e un significato alla nostra vita. Un rischio avvertito peraltro dallo stesso scrittore Dostoevskij secondo cui «il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere ma anche nel sapere per che cosa si vive».
Professoressa Versari perché è così diffuso l’inganno del successo?
Si va consolidando una cultura individualista e narcisista, ce ne accorgiamo da tanti comportamenti quotidiani: senso di grandiosità che porta a sentirsi senza motivo superiore agli altri; fantasie illimitate di fascino, bellezza, intelligenza; credere di essere “speciali” e richiedere eccessiva ammirazione; pretendere che tutto sia dovuto, usare le persone per i propri scopi, avere difficoltà a empatizzare con i sentimenti e le necessità degli altri; avere atteggiamenti arroganti e presuntuosi, provare rabbia alla presenza di critiche da parte degli altri…
I social network amplificano questo fenomeno?
Sono una straordinaria risorsa ma anche un inganno quando diventano veicoli per creare una falsa identità. Ci sono infatti quelli che tentano disperatamente di ispirarsi a un individuo “di successo”, mostrando una falsa immagine di sé. E non sono solo i nativi digitali, ma anche i meno giovani.
Non c’è il rischio di demonizzare i social?
Non vanno demonizzati ma usati con consapevolezza. Dovrebbero rappresentare un accessorio utile a favorire e consolidare le relazioni: ma non possono, però, sostituirsi alle vere relazioni, che non sono quelle esclusivamente virtuali, ma i rapporti reali. Quelli in cui le persone sono capaci “dal vivo” di mostrarsi e conoscersi per quello che realmente sono, anche nei loro limiti e nelle loro fragilità. Ma, a quanto pare, il bisogno di apparire come dei vincenti, come persone di successo, ha la meglio.
Oggi spopolano anche i reality show…
Sono la rappresentazione mediatica di questa cultura narcisista, in cui l’immagine di persona di successo nasconde spesso la desolazione di un vuoto interiore. Lo statunitense Jonathan Taplin, in un libro sui “sovrani” del nostro tempo, i social, rileva come negli ultimi dieci anni 21 ex concorrenti di reality show, dopo aver assaggiato il successo, si sono tolti la vita: una conferma della natura transitoria ed effimera della fama.
L’approccio di Frankl invece invita ad alzare lo sguardo.
Nel suo modello psicoterapeutico e anche educativo ciò che può dare un senso alla vita di una persona, è esattamente il contrario dell’autoattualizzazione. L’uomo di successo è chi, attraverso la dimenticanza di sé stesso, si dedica a uno scopo preciso: una causa alla quale dedicarsi, un “tu” al quale relazionarsi, un Dio da servire… Solo così è possibile realizzare una vita davvero significativa, e perciò di successo: addirittura trovando un senso alla sofferenza.
Ma oggi, nella società del selfie, siamo più portati a specchiarci in noi stessi.
Quella del selfie è l’ossessione più emblematica di questa tendenza all’ autoattualizzazione, di questo bisogno irrefrenabile di nutrire una immagine di sé da esibire per essere approvati, riconosciuti, apprezzati.
Cresce anche il ricorso alla chirurgia estetica…
Non solo tra i più adulti, ma anche tra i giovanissimi: l’immagine corporea perfetta da mostrare porta un numero crescente di ragazzine (e ragazzini) a chiedere a mamma e papà un ritocchino per festeggiare l’ingresso alla maggiore età…. Gli adolescenti che mostrano questo desiderio sono più spesso quelli che hanno un genitore che a sua volta è ricorso a questo tipo di chirurgia. Le veline o gli sportivi muscolosi che popolano la tv o i social divengono modelli da imitare. A tutti i costi.
Nel libro a proposito della mendacità del successo riflette in particolare sulle star dello spettacolo. Di recente Vasco Rossi sui social si è autodefinito un «emarginato di lusso»…
Mi ha molto colpito leggere le affermazioni coraggiose di Vasco Rossi che mettono il focus su quel senso di vuoto che opprime chi scommette su un falso successo. Tuttavia non basta riconoscere questo inganno, ma occorre trovarne l’antidoto: uscire da sé stessi per darsi a qualcosa o qualcuno. Non si tratta di demonizzare il successo esteriore per chi lo abbia raggiunto. Ma questo è solo la conseguenza di un compito riuscito, non dovrebbe essere cercato intenzionalmente.
Lei sostiene che un’ottima terapia è l’umorismo.
Sì, l’autoironia in particolare è uno dei più efficaci rimedi anti– narciso. È certamente più facile ridere di qualcuno o per qualcosa, piuttosto che ridere di sé stessi. Ma ridere di sé è una vera e propria ascesi, che può schiudere a guardare oltre noi stessi, l’unico orientamento in grado di garantire il successo. Un successo senza inganno.