Francesco Pannofino che pianta, in maniera maldestra, alcuni pali di legno nel terreno durante la costruzione di una casa per una famiglia numerosa che vive in una baracca di pochi metri quadri; Emanuele Filiberto che ascolta le parole di un uomo che chiede materiale scolastico per i bambini del villaggio e di una donna che si domanda cosa possa fare per loro la comunità internazionale; Paola Barale che stringe la mano di un bambino di tre anni, al quale hanno ucciso il padre davanti agli occhi, lasciando la madre in stato di choc e incapace di prendersi cura del figlio. Sono solo alcune delle immagini di
Mission, il programma che Raiuno propone stasera e giovedì 12 dicembre alle 21.10, mostrate ieri in anteprima a Roma dopo l’ok in extremis del direttore generale della Rai Luigi Gubitosi che le aveva visionate la sera prima. Due puntate (condotte da Michele Cucuzza e Rula Jebreal) che, ancor prima di essere realizzate, hanno scatenato reazioni durissime da parte di diverse Ong e che sono state accusate di spettacolarizzare il dolore. Perché questo, negli obiettivi di chi l’ha pensato, dovrebbe fare
Mission: portare nella prima serata di Raiuno il dolore e la disperazione dei rifugiati che vivono nei campi profughi di Mali, Sud Sudan, Congo e Cisgiordania. Per farlo, però, si è scelta una strada per molti discutibile. Perché, mentre guardi quelle immagini, ti chiedi: cosa c’entrano principi, attori e cantanti con quei disperati? Perché, usando le parole del direttore di Raiuno Giancarlo Leone, «per accendere i riflettori su realtà che non sono conosciute, se non a pochissimi, per l’indecente indifferenza che la televisione offre a queste tragedie», è stato necessario mandare in trasferta un manipolo di vip, talora difficilmente accostabili a ciò che raccontano? Non sarebbe stato più adatto un reportage, magari accompagnato da quella stessa campagna di raccolta fondi che proporrà
Mission? Leone non ha dubbi: «Senza i volti noti, l’enorme tragedia dei rifugiati non sarebbe arrivata nella prima serata di Raiuno. Ogni rete nel sistema televisivo ha il suo linguaggio. Quello del reportage non sarebbe stato adatto a noi». Che, allo scopo di informare e raccogliere fondi per le due importanti Ong coinvolte nel progetto (Acnur- Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e l’italiana Intersos), hanno confezionato le due puntate inviando in "missione" (in ordine di apparizione tv) Al Bano e le figlie Cristel e Romina Junior (Giordania), Candida Morvillo e Francesco Pannofino (Mali), Paola Barale ed Emanuele Filiberto (Congo), Lorena Bianchetti e Cesare Bocci (Ecuador), Barbara de Rossi e Michele Cucuzza (Sudan). Questi hanno trascorso quindici giorni nei campi profughi, affiancati dagli operatori delle due Ong e collaborando secondo le esigenze del campo. Un impegno, peraltro, a pagamento (si è parlato di alcune centinaia di euro al giorno di rimborso spese ma la Rai non conferma né smentisce) perché, sostiene Leone, «è un atteggiamento ipocrita che, se fai qualcosa a fin di bene, devi farlo gratuitamente. Rimane alla coscienza di ciascuno di loro se devolvere o no i loro emolumenti in beneficenza». Parole che hanno provocato la reazione del presidente della Commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico che, dopo avere aperto una istruttoria, invoca «assoluta chiarezza su cosa è questo programma, sui rimborsi spese e sulle griffe indossate dai personaggi». Fra i primi a esprimere riserve su
Mission come espressione di televisione sociale, c’era stata anche Laura Boldrini, oggi presidente della Camera dei Deputati ma per anni portavoce dell’Acnur, che aveva criticato proprio l’utilizzo dei vip. A risponderle lapidario è Laurens Jolles, delegato per il Sud Europa dell’Acnur: «Lei ora ha il suo percorso politico. Spero che, dopo averlo visto, possa fare una riflessione come tutti quelli che ne hanno parlato prima di vederlo» mentre Nino Sergi di Intersos aggiunge che la parte registrata in studio con ospiti ed esperti «aiuta ad inquadrare ancor meglio le problematiche dei rifugiati». Invece la conduttrice Rula Jebreal, con un paragone un po’ azzardato, afferma: «È giusto far diventare appetibile certi temi grazie a personaggi famosi. Non fanno così anche in America con George Clooney e Angelina Jolie?». Tiene in sospeso il giudizio, infine, padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati: «Ho ricevuto assicurazioni da parte dell’Acnur sul fatto che
Mission non è una trasmissione che spettacolarizza il dramma dei campi profughi, ma che sensibilizza gli italiani. Bisogna dare fiducia a tutti. Aspetto, pertanto, di vedere la trasmissione prima di giudicarla». Non resta, quindi, che vederla nella sua completezza.