Se il Villani, il trombettiere storico del Dall’Ara, oggi scendesse un attimo a festeggiare i cento anni del Bologna, non potendo omaggiare Giacomo Bulgarelli che è volato lassù a fargli compagnia, si alzerebbe in piedi e squillante griderebbe: «Onorevole Ezio Pascutti, salute!». Il Bologna fa 100 anni (è nato il 3 ottobre 1909), lui, l’Ezio, ultima vera bandiera, ne ha 72. Per tutta la gente della “Dotta”, è semplicemente
l’alasinistra. La testina d’oro che ha inventato il gol a tuffo d’angelo. «E il più bello - ricorda - , l’ho fatto al mio Tarcisio. A Burgnich: in un Bologna-Inter 3-2 del 1966». Razza “furlana” Pascutti, proprio come il Burgnich: «Lui di Ruda, io di Mortegliano». Il calcio per l’Ezio, ultimo di una famiglia di tre maschi, era una voglia matta da ragazzino, poi si è trasformato in riscatto. «È stato un modo per arrivare dove non hanno potuto i miei due poveri fratelli. L’Enea era forte quanto me, doveva finire all’Inter, poi invece lo prese il Chieti, ma si fece male e abbandonò il calcio. Per campare, come tanti del mio paese, emigrò in Canada. Quando tornò era malato, è morto a 38 anni. L’Enea mi ha dato il consiglio più prezioso: “Ezio - mi disse - , impara a giocare con il piede mancino, perché da noi d’ala sinistra c’è rimasta Carapellese...». Così il piccolo Ezio cominciò ad esercitarsi con il sinistro con stop e tiro sul muro di casa.Un giorno, mentre metteva in pratica la lezione di Enea, i tedeschi fecero irruzione e arrestarono l’altro fratello, Paride. «Lo deportarono in un campo di concentramento in Germania. Quando tornò non era più lui. Lassù i nazisti l’avevano riempito di botte. Si rinchiuse nella sua stanza, si mise a letto e in poco tempo si lasciò morire...». La Guerra era finita, ma non nel cuore di mamma Ermelinda, la bidella di Mortegliano. In mezzo al petto ha portato conficcate, fino all’ultimo giorno, due croci di legno, con i nomi dei figli, che sembravano uscite dalla falegnameria di papà Attilio. Un dolore inarrestabile che almeno in parte l’Ezio ha provato a rendere più lieve sfondando con il calcio e dando l’anima per la maglia rossoblù: dal 1954 al ’69 (trecento partite e 130 gol). «Ho avuto due grandi amori, il Bologna e mia moglie Emanuela, che mi ha dato nostra figlia Alessia: il prossimo marzo festeggiamo le nozze d’oro». La metà degli anni di questo Bologna, con il quale conquistò lo storico scudetto del ’64, quello dello spareggio dell’Olimpico contro l’Inter e delle accuse infamanti di doping. «Quella storia fu un brutto scherzo, qualcuno aveva manomesso le nostre provette a Coverciano. Non si è mai saputo con certezza chi fosse stato. Si è sempre sospettato di Gipo Viani, forse c’era rimasto male quando andammo a San Siro e battemmo il suo Milan staccandolo dalla lotta per lo scudetto. Io a Viani devo pure molto, mi fece debuttare in serie A e poi in Nazionale, ma chissà...». Quel Bologna del ’64 tornò a far tremare il mondo, grazie alla splendida regia di Bulgarelli e i gol preziosi de
l’alasinistra. «Quella squadra aveva due fuoriclasse, il mio “fratello” Giacomino Bulgarelli e il “tedesco” Haller. Ma soprattutto c’era un allenatore fantastico come Bernardini, un intellettuale prestato al pallone. Non ci diceva mai niente prima della partita, poi si entrava negli spogliatoi e le maglie erano lì pronte e la formazione bella e fatta per andare a vincere... Nessun mugugno chi stava fuori, massimo rispetto per i compagni e per gli avversari, mica come adesso che ’stì ragazzi sembra che li mandano in guerra alla domenica...». Eppure nonostante il massimo rispetto per gli avversari oltre che per i gol a tuffo d’angelo, Pascutti per tutta la vita è stato marchiato come “attaccabrighe”. Colpa di una partita con la Nazionale, un ottobre molto rosso del ’63: l’amichevole più politica che calcistica con tanto di delegazione del Pci atterrata a Mosca con gli azzurri, per assistere a un Urss-Italia in cui Pascutti si fece espellere. «Un terzinaccio, Dubinsky, mi aveva colpito ripetutamente e io a un certo punto mi girai e gli diedi una spinta... Espulso. I giorni seguenti, fu un linciaggio vergognoso che poi è continuato negli anni. Zazzaroni tempo fa si permise di dire in tv: “Se per lo sputo al danese Totti doveva essere squalificato, allora Pascutti quella volta in Russia doveva finire in galera...”. La storia vera è un’altra e quella riconosce Pascutti come l’alasinistrache ha ancora la lealtà e la grinta di quando scendeva in campo con la maglia numero “11”. «Sono nove anni che combatto contro la leucemia, ma la famiglia, la passione per il calcio e per questa squadra, mi fanno sentire vivo. E poi c’è questa mia città, Bologna, che mi vuole bene. La gente che incontro per strada, me lo ricorda ogni giorno e l’amore delle persone vale quanto cento scudetti».