Con i suoi 39 anni appena compiuti (il 10 maggio) il patron del Parma Tommaso Ghirardi è il secondo più giovane presidente della Serie A. Il primato anagrafico spetta ad Andrea Agnelli (6 dicembre 1975), “tricampione” d’Italia con la sua Juventus. E mentre oggi (domenica 18 maggio ndr) i bianconeri contro il Cagliari cercano il record dei 100 punti, il Parma va all’assalto di quel sesto posto che vale l’Europa League affrontando un Livorno già retrocesso in B. Presidente, comunque vada a finire sarà un successo? «Certo che sì. Nessuno qui si deve dimenticare le nostre origini e da dove siamo partiti. Otto anni fa ho raccolto questa società dalle ceneri e nel 2008 ho conosciuto anche la ferita della retrocessione in B. Perciò se per la prima volta nella mia gestione il Parma centra l’Europa sarà una piccola grande impresa». Sulla carta, a 90 minuti dal termine, ormai è una questione fra voi e il Torino del presidente Urbano Cairo. «Urbano è un amico che nel calcio ha avuto un percorso abbastanza simile al mio, forse lui con qualche dispiacere in più negli anni passati. Se non dovessimo farcela noi, piuttosto che le solite note, quindi le solite grandi (il Milan, ndr) preferirei che in Europa League c’andasse il Toro». C’è stato un momento che lei se l’è presa con gli arbitri che “ostacolavano” la vostra corsa all’Europa... «A dire la verità da un anno a questa parte, da quando sono diventato papà di Enrico, mi lamento sempre meno con gli arbitraggi. Potrebbe essere un segno di vecchiaia, o magari di rassegnazione al sistema...». Ci spieghi meglio presidente. «Significa che nel nostro calcio più sali ai piani alti e meno stai simpatico, così provano a farti cadere giù. Credo sia una questione tutta italiana che guarda più all’interesse e alle amicizie che alla meritocrazia». Come ci si difende e si riesce a restare a galla in un ambiente così ostile? «Con la passione sana e vera per il calcio come la concepiamo noi e la città di Parma: qui si va allo stadio per vedere uno spettacolo sportivo e non certo per delinquere, come purtroppo accade altrove. E poi con l’affetto che mi dimostra la gente per la strada. Spesso in trasferta ricevo i complimenti e le strette di mano dei tifosi avversari, e quelle per me contano quanto una vittoria». I tifosi della Nazionale si complimentano per come avete saputo gestire Cassano. Ma qual è stato il suo segreto per domare FantAntonio? «Mentre le parlo sotto la finestra del mio ufficio sto assistendo a una scena già vista, ma da favola... C’è tutta la famiglia Cassano, Antonio, la moglie e i due figli che stanno giocando con un pallone. È il suo giorno di riposo e lui dove lo passa? Qui al nostro centro sportivo di Collecchio, perché questa, ha capito che ormai è casa sua». Dicevano lo stesso alla Samp, dove infatti lo rivorrebbero indietro. «Io credo, anzi ne sono convinto, che in nessuna realtà come il Parma Cassano abbia mai trovato quella serenità che andava cercando. Ovunque il suo problema è stato l’eccesso di pressione, i troppi fari puntati sulla sua vita privata. Qui, senza mai bisogno di discutere o di litigare, ha trovato il suo habitat naturale». Grazie al Parma ha ritrovato anche la Nazionale e a quasi 32 anni disputerà anche il suo primo Mondiale in carriera. «Abbiamo lavorato talmente bene che nove dei nostri ragazzi dovrebbero andare ai Mondiali in Brasile. Tre gli azzurri, con Cassano ci sono Parolo e Paletta e tra i 30 pre-convocati il mio amico Cesare Prandelli ha chiamato anche Mirante. Più ci sono i nostri cinque nazionali stranieri: Obi, Gargano e Acquah e i due che abbiamo in prestito, il greco Ninis e l’algerino Mesbah».
L’oriundo Paletta ha scelto l’Italia invece dell’Argentina. «Paletta è da un pezzo che secondo me è uno dei più forti centrali del mondo. Il fatto che non fosse convocato né da una né dall’altra nazionale era diventata una barzelletta». È una barzelletta anche che Pietro Leonardi e Roberto Donadoni a fine stagione andranno in una grande società? «Io vorrei che Leonardi e Donadoni restassero sempre qui con me, ma sono realista e so che sto parlando di due fuoriclasse che nei rispettivi ruoli di dirigente (ad) e di allenatore dovrebbero essere già da un pezzo a fare le fortune di top club nazionali e internazionali». A proposito di calcio internazionale, anche lei ha investito all’estero, nel Nuova Gorica. «Si tratta di sinergie come quelle che in Italia abbiamo con Latina e Crotone che stanno lottando per venire in A. Il Nuova Gorica è in finale di Coppa di Slovenia, lo allena un ex Parma doc come Luigi Apolloni che ha portato con sé diversi nostri giovani del vivaio a fare esperienza. E questo per me è il vero senso dell’Europa unita anche nel calcio». Nel suo settennale da presidente di Serie A ha trovato un punto di riferimento in qualche dirigente? «Ce l’ho, ma da poco: è il presidente del Coni Giovanni Malagò. Per me lui è il nuovo che avanza, ama e conosce il potenziale del mondo del calcio, ma sa che la ricchezza di un Paese passa per una democrazia estesa a tutte le discipline sportive». Di tutti i giocatori che ha avuto al Parma, tempo fa lei ha detto che riprenderebbe di corsa Sebastian Giovinco. Conferma? «Stiamo parlando di un bravissimo ragazzo oltre che di un talento del calcio italiano. Prima di tornare alla Juve (nel 2012) ci ha salutati con 15 gol, lasciando un ricordo fantastico. Giovinco e Cassano assieme l’anno prossimo? Sarebbe un sogno...». Cosa sogna davvero per il futuro della sua società? «Di vedere il Tardini sempre pieno come oggi che proponiamo il “Biglietto Famiglia” gratuito per l’ingresso di genitori con figli e nonni al seguito. E poi di ripetere subito una stagione come questa». Presidente, da cattolico e praticante, ha pensato a qualche “fioretto” nel caso il Parma andrà in Europa? Qualcosa farò, ma al momento non ho pensato a un “fioretto”... Anzi sì, uno ce l’ho: ritessero Gene Gnocchi con il Parma».