venerdì 26 maggio 2017
La fabbrica dei sogni ideata dai quattro fratelli modenesi: ogni anno un miliardo di bustine vendute nel mondo: «I calciatori protestano se non sono nell’album»
Panini, il mito in bustina
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Questa lunga, fantastica storia d'amore, tra il fanciullino che alberga in ognuno di noi e la figurina Panini ebbe origine a Modena, in un giorno di neve, gennaio del 1945. La guerra è finita da poco e due ragazzi, i fratelli Franco Cosimo e Umberto Panini che, assieme arrivano appena a 28 anni, dai calzoni corti e le calze di lana cuciti dalla madre, l'edicolante Olga Cuoghi, aprono, «pagandola sei mila lire, a rate», un'edicola in Corso Duomo. Dieci anni dopo, quell'edicola cresce, si riempie di giornali e di riviste e diventa l'Agenzia Distribuzione giornali Fratelli Panini. A Franco Cosimo e Umberto poi si unirono anche i fratelli Giuseppe e Benito. Il boom economico li spingerà dalla sede del centro storico al più periferico Villaggio Artigiano, dove allora, come oggi, sorge la fabbrica dei sogni dei bambini, e non solo, di tutto il mondo, ammaliati dalle bustine Panini.

«Di bustine ne stampiamo circa un miliardo all'anno per la gioia dei collezionisti in età tra i 4 e i 64 anni residenti nelle 120 nazioni in cui vengono venduti i nostri album», dice Antonio Allegra, direttore Mercato Italia della Panini, che ci accoglie sulla soglia dello stabilimento di via Emilio Po.Al civico 380 da mezzo secolo si trova la sede e la produzione delle discendenti della bustina, («la prima si comprava al costo di 10 lire cadauna») che finì sugli scaffali delle edicole italiane nella stagione calcistica 1961-'62. «Questo è il primo album dei calciatori» indica Allegra, mostrando l'edizione che in copertina reca un Nils Liedholm con la maglia del Milan, ma «in realtà il "Barone" svedese si era ritirato l'anno prima», precisa il direttore.

La mitica bustina con il calciatore in rovesciata, il simbolo assoluto per ogni paniniano che si rispetti, avrebbe fatto il suo debutto in società nella stagione calcistica 1965-'66. Ormai la scommessa di Giuseppe, che a Milano aveva acquistato le prime figurine dei calciatori, quelle «formato gigante» delle edizioni Nannina, era vinta e stravinta. Sotto l'egida dei quattro fratelli venivano stampate e imbustate «tre figurine alla volta con un palloncino colorato come primo allegato e la promessa del premio a chi raccoglieva cento "fifi" (la figurina, in dialetto modenese) con la scritta sul retro "Figurina Valida"». Il genio dei Panini e la magia che resiste agli attacchi del tempo, specie questo, ostaggio della virtualità che spesso limita la fantasia, è stato proprio «l'effetto sorpresa», in bustina. Il rito quotidiano dell'acquisto, dello scambio, della sfida a muretto o a mazzetti per arrivare ad attaccare l'agognata figurina del campione e della squadra del cuore. «Prima dell'autoadesivo si attaccavano con la coccoina, dal retrogusto dolce mandorlato».

Una caccia al tesoro che si alimentava di leggende, come la "rarità": quel Gronchi rosa che nell'album Panini divenne a un certo punto «l'introvabile Pizzaballa». E leggenda narra che fosse lo stesso Giuseppe Panini, lo "zio" di tutti i piccoli lettori della rivista Il Paladino a sottrarla alla "mescola" per evitare i doppioni (prima veniva fatta col badile, poi con la "zangola" che aveva i numeri del lotto) e infilarsela in tasca, rendendola unica, rarissima: croce e delizia dei collezionisti. Ma era lo stesso Giuseppe che all'Ufficio figurine mancanti poi ammoniva: «Il nostro scopo è conquistare la fiducia dei giovani. L'album si completa sempre, se gli manca qualcosa glielo spediamo, anche se le spese si mangiano il "guadagno"...». I fratelli Panini hanno mantenuto fede a questa missione con i loro giovani amatori fino all'ultimo giorno in cui sono rimasti al timone.

Nel 1988 per una «cifra», 80-90 miliardi di vecchie lire, passarono la mano al gruppo del magnate inglese Robert Maxwell. Dopo la sua dipartita, la premiata ditta modenese, nel 1992, venne rilevata dalla De Agostini che a sua volta, nel '94, anno dei primi Mondiali di calcio negli Stati Uniti, la cedette agli americani della Marvel, salvo poi tornare in mani italiane. Dal 1999 fino allo scorso anno l'azionista di riferimento è stata la Fineldo, finanziaria della famiglia Merloni, che insieme al management aveva acquistato l'azienda ora guidata dall'Ad, Aldo Sallustro, il quale ha il calcio nel dna: è il nipote di Attila Sallustro, il bomber oriundo paraguayano del Napoli anni '30. Ma cambiando l'ordine dei gestori il risultato non è affatto mutato. «Le Panini tirano fortissimo in Germania, Spagna, Francia e Inghilterra e in gran parte del Sudamerica», sottolinea un entusiasta Allegra: «Ma anche negli Stati Uniti, Panini è diventato un brand di riferimento». E i fatturati lo certificano: «522 milioni di euro è stato il bilancio del 2015 (80 milioni solo la Panini Italia). Bilancio che di solito lievita fino a circa 700 milioni negli anni dei mondiali». Gli anni in cui, secondo tradizione, viene ritinteggiata anche la facciata d'ingresso dello stabilimento di via Emilio Po. La porta in cui ogni giorno marcano il cartellino i quasi 500 "modenesi" tra gli oltre mille dipendenti complessivi del gruppo Panini.

Gli operai lavorano ancora alle macchine progettate o acquistate a buon mercato negli anni '60 dai fratelli Panini. Come la portentosa "Fifimatic". Il processo di produzione è rimasto pressoché lo stesso: fogli di grande formato tagliati in «quadrotte», rimescolate prima di andare al taglio per i piccoli pezzi che una volta pronti finiscono nell'imbustatrice. E il ciclo si chiude al moderno pallettizzatore robotico «ribattezzato affettuosamente "Marina"». Tutto, persino le macchine, qui dentro testimoniano la lunga storia d'amore tra le figurine e il loro pubblico. «Fiorello e Bonolis sono alcuni degli affezionati più noti. Tra i calciatori spicca Gigi Buffon e su di lui c'è un aneddoto che la dice lunga sul suo attaccamento. L'anno che si infortunò e al suo posto la Juventus prese in prestito dal Milan Abbiati, e noi dopo molto dibattere decidemmo di inserire lo stesso Buffon nell'album, ma come secondo portiere. E la cosa a Gigi non andò giù... Ma rimane un grande amico della Panini», sorride Allegra mostrando il cartonato del portierone azzurro. «Non mancano comunque ogni anno le telefonate di giocatori fuori rosa o delle rispettive mamme, indignate o preoccupate, che chiedono lumi sul perché il loro pupillo non è stato inserito nell'album».

Inutile nasconderlo, essere una figurina Panini è uno status symbol intramontabile per i calciatori e una «malattia» per i collezionisti storici. I massimi epigoni italiani, Gianni Bellini e Ezio Colella, organizzano mostre e partecipano ai mercatini di scambio come quello che si tiene ogni anno nell'astigiano, a Cantarana, o a seminari in Belgio dove la Panini sbarcò nei primi anni '70 per gentile concessione a un ex compagno di guerra di Giuseppe Panini, il visconte DeLatre. La caccia continua. E come rabdomanti i malati cronici delle "figu" barattano pezzi e battono tutte le terre alla ricerca dell'album perduto o di quello del campionato Israeliano-Palestinese che non venne più ristampato. E il futuro, sarà come per i nostri grandi club: la Cina? «Non è un mercato facile – conclude Allegra – Prima di tutto perché fino a poco tempo fa le famiglie cinesi erano costituite da figli unici e il nostro album ha bisogno di gruppi che si ritrovano e che condividano questa passione». Questa eterna, inguaribile, eppure sanissima malattia, chiamata Panini.

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