La regista francese Julia Ducournau con la Palma d’oro - Reuters/Johanna Geron
Abbiamo sempre pensato che l’organizzazione di Cannes fosse talmente impeccabile da essere infallibile. Che nulla sfuggisse al controllo di un protocollo dettagliato, quasi militare. E invece no, ieri sera abbiamo assistito a un vero disastro che ci ha fatto tornare alla memoria la clamorosa gaffe agli Oscar 2017 in cui La La Land sul palco dovette cedere il posto a Moonlight a causa di un clamoroso errore per il quale all’Academy cadde qualche testa. Chiamato ad annunciare la prima Palma, quella destinata al migliore attore, Spike Lee, il presidente di giuria, cosa fa? Annuncia direttamente la Palma d’oro che quasi un’ora dopo, al momento giusto, verrà consegnata nelle mani di Julia Ducournau, salita sul palco piangendo, accompagnata dai due protagonisti, Vincent Lindon e Agathe Rousselle. Ma non è ancora il momento.
Nella Salle Lumiere cala il gelo, gli altri giurati sbarrano gli occhi e si tappano la bocca con le mani, Spike Lee è confuso, non capisce cosa ha sbagliato, dà la colpa al fatto che non comprende il francese, non ha capito cosa doveva dire. I giurati confabulano, scuotono la testa. Il danno è fatto. Da quel momento la madrina Doria Tillier perde il controllo della situazione, le gaffe si succedono, Lee continua a confondersi con i foglietti, l’attore Tahar Rahim prova ad aiutarlo facendo ordine tra le sue carte, gli altri giurati ridono.
Sappiamo che non è così, ma l’impressione è che la cerimonia di premiazione non sia mai stata provata, preparata. Il caos regna sovrano in una serata dove tutti sembrano dei dilettanti. Tanto che arrivato finalmente il momento di annunciare la vittoria di Titane, Lee preferisce lasciare la parola a Sharon Stone. «Sicuramente lei non sbaglia», dice il regista un po’ mortificato. Titane, dicevamo, uno dei peggiori film della selezione, che con le sue banali provocazioni e una sceneggiatura che non sa dove dirigersi, ha scatenato spesso ilarità in sala e che non riesce a aggiungere nulla alla lezione di David Cronenberg di un paio di decenni fa. Ma la Ducournau è la seconda donna a vincere la Palma d’oro nella storia del Festival di Cannes, ben 28 anni dopo Lezioni di piano di Jane Campion.
La confusione di questa giuria è dimostrata anche da ben due ex aequo, un escamotage che dimostra l’incapacità di raggiungere un accordo. A vincere il Grand Prix sono infatti due film, A Hero dell’iraniano Asghar Farhadi che riflette sul ruolo dei social media nella moderna società iraniana, e Compartment n. 6 del finlandese Juho Kuosmanen che mette in scena un affascinate viaggio in treno che diventa un originale romanzo di formazione. I due registi si abbracciano e Farhadi dichiara: «Continuo a fare film nonostante tutti gli ostacoli, e farmi domande sulla società per migliorare il mio Paese».
L’altro ex aequo riguarda il premio della giuria che va a Il ginocchio di Ahed dell’israeliano Nadav Lapid, atto d’accusa contro gli abusi del governo israeliano, e al criptico Memoria del tailandese Apichatpong Weerasethakul, ambientato in Colombia e interpretato e prodotto da Tilda Swinton. SeLapid ricorda che irrazionalità e imprudenza sono le più belle qualità per chi fa cinema, Weeraseethakul ci ricorda che in questa epoca strana il cinema ci permette di entrare in contato e di sognare una vita migliore, ma è necessario aiutarci l’uno con l’altro.
Consegnato dalla nostra Valeria Golino, il premio della regia va al francese Leos Carax per Annette, che il 6 luglio ha aperto il Festival dividendo pubblico e critica, mentre la migliore regia è quella di Drive My Car del giapponese Hamaguchi Ryusuke, che con Takamasa Oe ha scritto il film più amato dalla critica in questa 74esima edizione del Festival. I migliori attori sono Caleb Landry Jones, protagonista di Nitram dell’australiano Justin Kurzel che l’ha scelto per interpretare il giovane mentalmente instabile responsabile di una sanguinosa strage nella Tasmania degli anni Novanta, e Renate Reinsve perThe Worst Person in the World di Joachim Trier, anticonvenzionale e insolita storia d’amore e di abbandono.
A illuminare il palco è arrivato però Marco Bellocchio, salutato con una vera e propria ovazione, che dalle mani di Paolo Sorrentino, autore di una toccante laudatio, ha ricevuto la Palma d’onore del Festival. «Venendo qui ho pensato che le cose che ho fatto, quelle buone e riuscite – dice Bellocchio ringraziando – hanno sempre combinato l’immaginazione e il coraggio. Mi accorgo che le cose di cui sono più soddisfatto sono state fatte con un atto di coraggio. Se l’ispirazione non si scontra con una realtà spesso ostile non può trasformarsi in immagine». E rende omaggio al talento e alla memoria di Michel Piccoli che aveva vinto la Palma come migliore attore per Salto nel vuoto, nel 1980.