venerdì 15 febbraio 2019
Attraverso 150 opere e 94 artisti si porta l'attenzione sui sessant'anni che separano l'ultima fase del Romanticismo e le sperimentazioni artistiche del nuovo secolo
Francesco Lojacono: Dall'ospizio marino (1891), particolare

Francesco Lojacono: Dall'ospizio marino (1891), particolare

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È con l’avvento del Futurismo che comincia la sua svalutazione e per decenni, fra anatemi (celebre quello di Roberto Longhi nei confronti dei Macchiaioli: «Buona notte, signor Fattori ») ed esaltazione dell’Impressionismo, l’arte dell’Ottocento italiano è finita per decenni in un cono d’ombra. Un oblio alimentato dal postulato secondo cui in Italia non è stato prodotto né un quadro né una scultura nel periodo che va da Antonio Canova a Umberto Boccioni.

Che l’Ottocento sia considerato un deserto d’arte è un luogo comune, supportato anche da fonti così autorevoli da vanificare in partenza ogni tentativo di revisione. Beninteso, una certa qual tradizione di studio e di apprezzamento per l’arte del secolo che è stato di così grande rilevanza per la nazione non è mai venuto meno, ma tutto resta in un’area periferica rispetto agli storici e ai critici più qualificati, in una fascia oscillante tra il giornalismo d’alta classe, i cenacoli di provincia e il ceto universitario più osservante, con il risultato che solo con gli anni Settanta del secolo scorso l’Ottocento italiano si comincia a valutarlo adeguatamente e a storicizzarlo.

Certo è, però, che da allora l’azione di riposizionamento non si è più fermata. Anzi ha avuto uno sviluppo che è via via aumentato in maniera esponenziale producendo «centinaia di retrospettive che hanno indagato questo o quell’autore, questo o quell’aspetto, declinazione o sfaccettatura di quell’importante secolo». Pare che solo nel mese di dicembre fossero in corso una ventina di mostre sull’Ottocento e proprio in questi giorni se ne è aperta un’altra. Quella che «vuole mettere un punto fermo».

Lo ha assicurato Gianfranco Brunelli, coordinatore delle mostre dei Musei San Domenico di Forlì dove fino al 16 giugno è allestita Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini a cura di Francesco Leone e Fernando Mazzocca (catalogo Silvana). Siamo dunque alla parola definitiva «per restituire finalmente – come afferma a sua volta Mazzocca – una visione dell’Ottocento più fedele allo spirito di quegli anni, visto con uno sguardo nuovo che coincida con quello del pubblico del tempo». E lo spirito del tempo è quello di un’Italia che vive sommovimenti politici, economici e sociali tumultuosi, con il ribollire di una potente volontà di riscatto, fino al compimento dell’unità politica e all’avviarsi, sul finire del secolo, della rivoluzione industriale. Impensabile in un simile scenario che l’arte non registrasse – e talora perfino anticipasse – le speranze, le passioni, ma anche le contraddizioni e il complesso travaglio di un paese che sta vivendo una fase epocale.

Giovanni Segantini, 'Le due madri' (1889)

Giovanni Segantini, "Le due madri" (1889) - Copyright Photo Scala, Florence

La mostra, che è anche una sorta di storia patria, registra tutto questo attraverso 150 opere e 94 artisti, puntando la propria attenzione sui sessant’anni che intercorrono tra l’ultima fase del Romanticismo e le sperimentazioni artistiche del nuovo secolo, tra la fase finale del Risorgimento, l’unità d’Italia e la Grande Guerra. Anni in cui c’è il cambio della guardia anche in arte e nuovo principe diventa Francesco Hayez (la sua Ruth apre il percorso espositivo) con cui nasce la figura di artista indipendente e impegnato. Cambiano anche i referenti storici: non più la classicità, ma avvenimenti del Medioevo o del Rinascimento – proprio come in letteratura e nel melodramma – fra quelli che meglio si prestano ad adombrare temi d’attualità. Molta attenzione è riservata ai protagonisti della cultura e della politica (ecco allora il notissimo Ritratto di Camillo Benso conte di Cavour di Hayez, il Giuseppe Garibaldi e il Pietro Mascagni di Corcos, la bella tavola dello Studio di testa per 'Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini' di Lega) e alle vicende della storia recente.

È in questa parte 'epica' della mostra che i linguaggi si diversificano e le tele assumono dimensioni imponenti per ospitare le battaglie che 'hanno fatto' l’Italia. Qui troviamo Girolamo Induno con La battaglia di Magenta (4 giugno1859), Federico Faruffini con La battaglia di Varese, Michele Cammarano con La breccia di Porta Pia e il drammatico Fattori de Lo staffato. Verso la metà del secolo si affacciano nuovi generi, prima considerati minori, come la scena di genere e innanzitutto il paesaggio, mentre poco dopo si realizza la rivoluzione dello sguardo voluta dai macchiaioli (in mostra c’è un precoce Nino Costa con Donne che imbarcano legna nel porto di Anzio). Tocca poi ai pittori della Belle Epoque, Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, descrivere vizi e virtù della nuova borghesia, e così arrivare alla grande avventura della pittura divisa di Pellizza, Boccioni, Previati, Segantini che aprono la strada alla modernità.

Forlì, Musei San Domenico
OTTOCENTO L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini
Fino al 16 giugno

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