Franco Branciaroli, 74 anni, e Umberto Orsini, 87 anni, protagonisti di 'Pour un oui ou pour un non' di Nathalie Sarraute
«Abbiamo 252 anni in tre e francamente non ci aspettavamo un successo simile. Evidentemente il pubblico della pandemia è cambiato e cerca una qualità altissima che oggi scarseggia». Umberto Orsini, 87 anni, e Franco Branciaroli, 74 anni, guidati alla regia da Pier Luigi Pizzi, 91 anni, debuttano martedì prossimo al Piccolo Teatro Grassi di Milano (per restare sino al 30 gennaio) in un raffinato duello a fil di parole, Pour un oui ou pour un non di Nathalie Sarraute, una delle più importanti scrittrici francesi della seconda metà del Novecento. Applaudiamo alla modestia di due assoluti mattatori che ancora si stupiscono del loro successo, rodato in una serie di date fra nord e centro Italia prima del prestigioso debutto milanese.
Certo, lo stop della pandemia ha creato incertezze e timori anche in due mostri sacri come Orsini e Branciaroli, che ora sfidano le incognite del palcoscenico ingaggiando una sfida di bravura su un raffinato e divertente testo, nato come radiodramma: due vecchi amici si ritrovano dopo un immotivato distacco e si interrogano sulla ragione della loro separazione. Scoprono che sono state soprattutto le intonazioni delle parole a deformare la loro comunicazione e ad indurre a quegli equivoci che hanno provocato la rottura della loro amicizia. Una sfida anche produttiva per i due capocomici della Compagnia Orsini e del Teatro degli Incamminati, in collaborazione col Centro Teatrale Bresciano.
«La sfida nasce dal desiderio di tornare a recitare insieme con Franco, dopo i successi del Besucher di Botho Strauss con la regia di Ronconi nel 1989 e dell’Otello firmato da Lavia nel 1995 – spiega ad Avvenireun lucidissimo Umberto Orsini –. Avevo pensato a Terra di nessuno di Harold Pinter, poi questa commedia del 1982 segnalatami da Pizzi, mi ha intrigato. Era molto difficile da proporre, il mercato chiedeva titoli importanti. Io sfide con i testi ne ho raccolte molte. Questa è una commedia molto sofisticata, di nicchia, un dialogo fra due amici che per un equivoco su una intonazione rompono la loro amicizia. Ma il mio pensiero guida in questi anni è sempre stata la ricerca». Più sanguigno Franco Branciaroli va sul pratico: «È uno spettacolo pensato per la pandemia. Doveva essere a due attori anche per i contagi, doveva essere corto per via delle mascherine che il pubblico deve sopportare sul naso e il più possibile divertente, leggero e comprensibile per un teatro convalescente. Non ci aspettavamo invece la sorpresa di questa accoglienza». Perdipiù per uno spettacolo basato sulle parole, oggi più che mai così importanti da soppesare. «In Italia gli spettacoli sulla parola reggono difficilmente – spiega Orsini –. Il valore della parola è importantissimo, e dette da noi fanno intuire mondi diversi attraverso i nostri corpi che portano la nostra età e il nostro passato ».
Il primattore novarese aveva visto la commedia in Francia con Trintignant e Dussollier. «È una commedia leggera, basata sulle parole e sulle intonazioni, ma lentamente abbiamo capito la profondità di questo lavoro – aggiunge –. Abbiamo capito che la commedia, scritta per due 50enni, fatta da noi avrebbe assunto un significato più profondo perché il rimproverarci una vecchia sciocchezza alla fine della vita, fa riflettere il pubblico». Per Branciaroli si tratta di un testo «molto intelligente come la sua autrice la quale si avvantaggiava di tutta una sua appartenenza a un mondo straordinario della Parigi anni 50 e 60, quella di Bekett, Ionesco, Sartre, Camus. Noi italiani non abbiamo lo humour e il sarcasmo, noi abbiamo una comicità pesante, maleducata. La Sarrault ha colto che queste liti a causa di una cosa male interpretata, è comune a tutti».
Fatto sta che il pubblico in questo momento difficile sta premiando i 'grandi vecchi' della scena italiana. «La nostra è una retroguardia, recitiamo senza microfoni anche in spazi enormi, proponiamo un tipo di recitazione che non c’è più – aggiunge Orsini –. Se sui palcoscenici oggi vediamo Herlitzka, la Lazzarini, la Guarnieri e Mauri, vuol dire che siamo ancora lì a giocare un ruolo importante, anche perché non ci si improvvisa in questo mestiere. Non è la routine, è la ricerca continua. Se facciamo il teatro è perché lo vogliamo, vogliamo essere lì per essere vivi». Nonostante la pandemia, il teatro è ancora vivo. «Il pubblico oggi è migliore – aggiunge Branciaroli –, chi viene a teatro ci viene in maniera diversa. Adesso è più pesante, perché uscire di casa è un rischio, perché devi stare con la FFP2. Il pubblico deve sentire che lo spettacolo funziona». Concorda Orsini che fa notare che «chi viene a teatro oggi è motivato, non è più quel pubblico generalizzato di prima. Si è stabilito un rapporto molto più intimo tra attore e spettatore. Il teatro non è vissuto più come routine ma come ricerca, diventa come una libreria, si entra perché se ne ha voglia. Andare a vedere uno spettacolo è un po’ come cercare un libro fuori catalogo. Bisogna arrampicarsi sulla scaletta e, una volta scovato, si gode la gioia di questa prelibatezza ».
L’augurio di Branciaroli è che il teatro riparta anche se «dovrebbe essere aiutato dalla gabbia della burocrazia e della politica». E sarà costretto a cambiare a causa della pandemia: «Ho studiato biologia, questa ondata non passerà. Un virus per diventare endemico può impiegare fino a centinaia di anni. È la resa dei conti: in guerra tutto va pesato. Il rischio ti costringe a valere la pena, è la legge della qualità».