«La vostra inchiesta non potrà che farci bene». Questo dice il vescovo alla giornalista inglese che sta indagando sul caso di Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno 1983. Uno dei più noti “misteri” di cronaca italiana. Mistero in sé perché di quella ragazzina di 15 anni, figlia di un dipendente vaticano, non si è saputo più nulla. Mistero per le innumerevoli versioni e rivelazioni apparse in questi 33 anni. Mai convincenti, mai vere e verificabili secondo i magistrati della Procura di Roma che proprio per questo hanno chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, decisione alla quale si oppone la famiglia. Il film
La verità sta in cielo (dal 6 ottobre in sala) vorrebbe essere un film d’inchiesta, come ci ha detto il regista Roberto Faenza, proprio come l’inchiesta giornalistica che racconta. Ma corre il rischio di essere un film a tesi, quella che cerca e vuole trovare dietro al sequestro un vero e proprio complotto, con la giovane Emanuela vittima di loschi intrecci tra mafie, finanza, servizi segreti, politica e Vaticano. Così gran parte della ricostruzione si basa sulle “rivelazioni” di Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano e poi compagna di Enrico De Pedis detto “Renatino”, boss dei “testaccini” gruppo collegato e poi contrapposto alla nota, famigerata e misteriosa Banda della Magliana. Rivelazioni piene di “sentito dire” e di falsi clamorosi. Ma anche quelle di Antonio Mancini detto “accattone”, esponente di quarta-quinta fila della banda. E, addirittura, quelle dell’ultimo personaggio comparso sullo scenario delle notizie “bomba” che portò ai magistrati un flauto dicendo che era quello di Emanuela e raccontando nuovi e scottanti retroscena. Ha fatto correre la procura per un anno e ora si trova indagato per calunnia. Un millantatore che come altri ha messo insieme pezzi di storie diverse Questo è stato in questi anni il panorama attorno all’inchiesta, una raccolta di fatti anche veri, calandoli sulla vicenda del rapimento. Così anche nel film si parte da un’ipotesi di collegamento tra la storia di 33 anni fa e “Mafia Capitale”, basandosi però solo sul fatto che il protagonista di quest’ultima vicenda è Massimo Carminati, legato allora alla Banda della Magliana. Vero. Ma, lo ripetiamo, la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sulla Orlandi. Ed è la stessa che indaga su “Mafia Capitale”, credendo molto in questa inchiesta. Se la procura, guidata da un magistrato attento e scrupoloso come Giuseppe Pignatone, avesse trovato un bandolo con la vicenda Orlandi non l’avrebbe certo chiusa. E così anche la tesi di fondo che vede nel rapimento di Emanuela una pressione su Vaticano di ambienti mafiosi-finanziari per riavere i soldi affidati allo Ior, tramite il banchiere Guido Calvi, usati poi per finanziare Solidarnosc e altri movimenti contro il regime comunista. Fatti in parte veri, altri sotto inchiesta, messi assieme e collegati a quel rapimento. Così come la decisione, sicuramente inopportuna, di far seppellire De Pedis nella chiesa di Sant’Apollinare. In cambio di qualche favore? Forse. Ma Emanuela non c’entra. Nulla, invece, si dice sulla clamorosa speculazione di alcuni servizi segreti sulla vicenda, che usarono un fatto di cronaca nera per mandare messaggi o per confondere le idee. Per demolire o rafforzare Alì Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II e le sue rivelazioni. Ma questa è un’altra storia.